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Massimiliano Gatti

NOT ONLY HISTORY, BUT OUR MEMORIES | podbielski contemporary, milano

29/3/2021

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PODBIELSKI CONTEMPORARY PRESENTA “NOT ONLY HISTORY, BUT OUR MEMORIES”
A CURA DI CARLO SALA
DAL 24 MARZO AL 29 MAGGIO 2021.

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Opening | 24 marzo h 14.30 - 20.30
Milano, 24 marzo 2021 
Podbielski Contemporary di Milano inaugura la sua stagione espositiva con la mostra Not only history, but our memories, a cura di Carlo Sala.

Il progetto presenta il lavoro di sette tra i più interessanti fotografi italiani della scena emergente: Silvia Bigi, Marina Caneve, Federico Clavarino, Francesca Catastini, Massimiliano Gatti, Giulia Parlato e Jacopo Valentini.
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Gli artisti propongono una serie di lavori che vogliono affrontare alcuni nodi della storia contemporanea in chiave dialogica con il presente, attraverso il filtro delle proprie vicende personali o familiari fondendo memoria personale e collettiva. Nelle opere esposte non vi è alcun elemento celebrativo o strettamente storiografico, perché gli avvenimenti evocati vogliono essere la chiave per decifrare alcune istanze del momento presente.
La serie Vis Montium (2018-on going) di Jacopo Valentini (Modena, 1990) si pone in stretta relazione con il paesaggio, indagando la Pietra di Bismantonva nel territorio dell’Appennino Tosco-Emiliano. Questa rupe, pur ritratta dall’autore in chiave documentaria, riesce a esprimere l’identità del territorio riconnettendolo a valori simbolici lontani, dell’epoca etrusca quando secondo la tradizione era un’arca sacrificale, o immaginifici perché Dante nella Divina Commedia vi ambienta il quarto canto del Purgatorio. Marina Caneve (Belluno, 1988) con il progetto fotografico Are they Rocks or Clouds? (2015 – 2019) analizza il territorio della Dolomiti – che fu profondamente segnato dal disastro idrogeologico del 1966 - per ragionare sulla crisi climatica che sta minando il pianeta. Negli scatti compaiono i ritratti di abitanti del luogo, scorci di piccoli centri abitati e strade che recano delle ‘cicatrici’ che divengono una riflessione sulla ciclicità delle catastrofi e sul nostro rapporto con la natura. La serie Le nuvole (2019), di Massimiliano Gatti (Voghera, 1981) crea una connessione tra memoria storica a presente attraverso l’indagine del patrimonio di Palmira. L’autore mette in relazione una serie di fotografie realizzate nei siti archeologici della città con delle immagini che, dietro l’apparente forma lieve e accattivante delle nuvole, rivelano delle colonne fumo che si innalzano dopo la distruzione di quel patrimonio storico da parte dell’ISIS. Si genera così un cortocircuito visivo tra l’immaginario della propaganda terroristica e la secolare bellezza di quei luoghi feriti. Sempre legata al Medio Oriente è la serie Hereafter (2014-2019) di Federico Clavarino (Torino, 1984), esposta in collaborazione con galleria Viasaterna di Milano. Il lavoro è scaturito dagli oggetti che il fotografo ha trovato nella casa dei suoi nonni materni in Inghilterra che lo hanno condotto a indagare i territori di Oman, Giordania e Sudan dove la coppia ha vissuto. Questa vicenda familiare diviene una lente privilegiata per osservare il disfacimento dell’Impero britannico e le tracce della storia coloniale che tutt’oggi permangono. Le vicende familiari sono il punto di partenza anche nella serie From dust you came (and to dust you shall return) (2019) di Silvia Bigi (Ravenna, 1985) che, lavorando su alcuni album di fotografie domestiche, ha trasformato la memoria privata in collettiva. L’artista ha infatti intaccato materialmente le fotografie vernacolari per trarne un pigmento con cui produrre idealmente delle nuove forme di rappresentazione. Sempre della Bigi è l’opera Il sangue e il latte (2017), composta da una serie di immagini fortemente simboliche dove i due elementi richiamanti nel titolo si fondono per cercare una conciliazione tra la dimensione femminile e quella maschile. La questioni di genere sono presenti anche nella serie Petrus (2016-2019) di Francesca Catastini (Lucca, 1982) che, attraverso gli scatti realizzanti nell’appartamento di una persona a lei cara, ha reso manifesti i segni di una concezione occidentale della mascolinità; in quei ninnoli, sculture e vecchie immagini appaiono una serie di archetipi che popolano la nostra quotidianità modellandone il puto di vista. A chiudere idealmente la mostra è la serie Diachronicles (2019-2020) di Giulia Parlato (Palermo, 1993), un lavoro fotografico sospeso tra realtà e finzione. Negli scatti compaiono diorami, teche museali, ipotetiche stratigrafie archeologiche che sono delle visioni arbitrarie che tentano di colmarne i vuoti della storia attraverso una serie di ipotetiche narrazioni che rendono palese la potenza generativa sul reale che posseggono i musei e gli archivi depositari del sapere.

Riepilogo dei fotografi in mostra:
Silvia Bigi | Marina Caneve | Federico Clavarino | Francesca Catastini | Massimiliano Gatti | Giulia Parlato | Jacopo Valentini

Le visite sono regolate dall’attuale normativa Covid: ai visitatori sarà richiesto l’utilizzo della mascherina e il controllo della tempera corporea e il rispetto delle norme per il distanziamento all’interno della galleria.

PODBIELSKI CONTEMPORARY
Via Vincenzo Monti 12 | 20123 Milano
Opening Hours: Tues–Fri, 2.30–7 pm Saturday by appointment only
Tel: +39 338 238 1720
info@podbielskicontemporary.com
www.podbielskicontemporary.com



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APRE LA MOSTRA DEL PREMIO FRANCESCO FABBRI PER LE ARTI CONTEMPORANEE

8/2/2021

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PREMIO FRANCESCO FABBRI PER LE ARTI CONTEMPORANEE

8/2/2021

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APRE LA MOSTRA DEL PREMIO FRANCESCO FABBRI PER LE ARTI CONTEMPORANEE

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Dopo la chiusura forzata di mostre d’arte ed eventi museali in ossequio alle misure di contenimento del virus, Fondazione Francesco Fabbri Onlus è lieta di annunciare l'apertura per il 17 febbraio dell’esposizione collettiva dei finalisti al Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee. L’iniziativa curata da Carlo Sala e giunta alla nona edizione sarà visitabile nella suggestiva cornice di Villa Brandolini a Pieve di Soligo (TV).

L’attuale emergenza sanitaria impedirà il normale svolgimento della cerimonia di premiazione, che si terrà sabato 13 febbraio alle 17.30 in modalità online e sarà accessibile in diretta sui canali social di Fondazione Fabbri. Lo sforzo di realizzare l'evento - anche in questo momento così difficile - vuole essere un chiaro segnale di resistenza culturale e di vicinanza al settore delle arti tanto duramente colpito, nella convinzione che la cultura sia parte delle azioni di welfare per il cittadino.

L’esposizione coinvolge 60 finalisti internazionali, divisi tra le due sezioni di Arte Emergente e Fotografia Contemporanea, selezionati da una giuria di prestigio che ha esaminato - edizione record - ben 1190 candidature. Durante la cerimonia di premiazione online saranno proclamati i vincitori assoluti delle due sezioni, che riceveranno un premio acquisto di 5.000 euro l’uno e vedranno le loro opere entrare nella collezione di Fondazione Fabbri; saranno annunciate inoltre le menzioni speciali che le giurie hanno voluto attribuire ad alcuni lavori particolarmente significativi.

Fondazione persegue così il suo impegno nella valorizzazione dei linguaggi contemporanei, creando una mappatura degli autori che si distinguono per una ricerca aderente alle istanze del presente e compiendo, attraverso il Premio Francesco Fabbri, un'opera di scouting delle varie tendenze che compongono il mosaico dell’arte visiva attuale evidenziandone i caratteri maggiormente innovativi.

Tra le numerose opere candidate, sono risultate finaliste della sezione Arte Emergente – dedicata agli under 35 – quelle di: Sveva Angeletti, Marco Antelmi, Luca Bosani, Gianluca Brando, Lucia Bricco, Mara Callegaro, Letizia Calori, Federico Cantale, Alessia Cargnelli, Matteo Costanzo, Nicolò Degiorgis, Antonio Della Guardia, Binta Diaw, Lorenzo Ermini, Valentina Furian, Nicola Lorini, Luca Marcelli, Martina Melilli, Stefan Milosavljevic, Claudia Mirambell Adroher, Caterina Morigi, Francis Offman, Dario Picariello, Giulio Saverio Rossi, Giuliana Rosso, Letizia Scarpello, Davide Sgambaro, Gabriel Stöckli, Davide Stucchi ed Eva Chiara Trevisan.

I finalisti della sezione Fotografia Contemporanea invece sono: Bruno Baltzer & Leonora Bisagno, Riccardo Banfi, Mariella Bettineschi, Silvia Bigi, Jaspal Birdi, Calori & Maillard, Domenico Camarda, Marina Caneve, Luca Capuano & Camilla Casadei Maldini, Valeria Cherchi, Paolo Ciregia, Federico Clavarino, Mario Cresci, Orecchie d’Asino, Barbara De Vivi, Massimiliano Gatti, Valentina Lapolla, Fabien Marques, Luca Massaro, Valentina Miorandi, Gloria Pasotti, Camillo Pasquarelli, Iacopo Pasqui, Claudia Petraroli, Eleonora Quadri, Alessandro Sambini, Buhlebezwe Siwani, Jacopo Valentini, Rocco Venezia e Martina Zanin.

La composizione delle giurie si è pregiata anche in quest’edizione di autorevoli critici e curatori. Per la sezione “Arte Emergente” ci hanno onorato della loro presenza Lorenzo Balbi, Lucrezia Calabrò Visconti, Angel Moya Garcia e Stefano Raimondi; per la sezione “Fotografia Contemporanea” ringraziamo Daniele De Luigi, Francesca Lazzarini, Giangavino Pazzola e Mauro Zanchi. Entrambe le giurie hanno goduto della partecipazione e supervisione del curatore del Premio Carlo Sala.

Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee
a cura di Carlo Sala

Villa Brandolini, Solighetto di Pieve di Soligo (Treviso), Piazza Libertà n°7
Cerimonia di premiazione online 13 febbraio ore 17.30
17
– 26 febbraio 2021

Il Premio è promosso dalla Fondazione Francesco Fabbri in collaborazione con il Comune di Pieve di Soligo, con il patrocinio di Regione Veneto e Provincia di Treviso, e di Landscape Stories e TRA.

Orari di apertura: mercoledi – giovedi – venerdi, 16.00 – 19.30 Ingresso libero.
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Per Info: www.fondazionefrancescofabbri.it; segreteria@fondazionefrancescofabbri 


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espoarte | “ORE SOSPESE”: CRONACA INTIMA DI UN’ITALIA SENTIMENTALE

4/12/2020

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MILANO | PODBIELSKI CONTEMPORARY | 15 OTTOBRE – DICEMBRE 2020

Foto
di PIETRO BAZZOLI

Osservando i muri di marmo e i viali polverosi ritratti nelle fotografie sulle pareti della galleria Podbielski Contemporary di Milano non si può far a meno di avvertire una nota intima e stranianti insieme: sono visioni, scorci rubati di un Bel Paese difficile da riconoscere.
Forse si tratta di istantanee più propriamente riconducibili al ricordo del singolo, piuttosto che alla nazional popolare iconoclastia di un paese da cartolina. È, dunque, tale punto di osservazione particolareggiato che rende in modo assai più peculiare e interessante una realtà dai contorni intangibili, sfumati; luoghi dove, sebbene la singolarità prevalga sulla massa, si assiste a un’affermazione così forte della poetica da renderne universale il valore. Senza stupirsi se quello ritratto sia un luogo che si dovrebbe o potrebbe conoscere: è un’altra Italia, vissuta esclusivamente attraverso la lente della macchina fotografica. Un paese che si fa vettore di storia e di memoria, una sorta di contraltare rispetto ai non-luoghi definiti dall’antropologo francese Marc Augé, per cui “la vista delle rovine ci fa intuire l’esistenza di un tempo che non è quello di cui parlano i manuali di storia o che i restauri cercano di resuscitare. È un tempo puro, non databile, assente dal nostro mondo d’immagini, di simulacri e di ricostruzioni”.
Un’Italia, dunque, non canonica bensì ampiamente filtrata dallo sguardo interiore dei diversi fotografi, in un misto di prospettive che sfondano la dimensione metafisica surclassando l’elemento tangibile dell’oggetto.
Non è difficile immaginare il parallelismo esistente tra questi luoghi romantici sentimentali e la pandemia in atto, come se la fotografia fosse momento di rifugio per allontanarsi dalle sofferenze del presente, lasciandosi cullare da una atemporalità lontana persino dalle nozioni della fisica. Ne consegue un concentrarsi sulla materia del ricordo tale da ridurre lo spazio in favore di un tempo che appare tanto più infinito quanto, oggi, si avverte nel suo scorrere. D’altronde, come osserva il filosofo Roberto Diodato, “noi siamo fatti di tempo, siamo forme di tempo spezzato, pezzi di divenire, eventi, e il mio io non è altro che ricordo e memoria, imprecisa e intermittente”.
Un eccesso di sentimentalismo, forse, se analizzato dal clinico cinismo a cui la cronaca odierna ha abituato lo spettatore italiano, ma come biasimare l’animo fragile dell’essere umano che colto nell’ora d’annata del travaglio 
– emotivo, fisico, affettivo, contestuale e futuribile – cerca in un paesaggio muto qualcosa che possa lenirne le sofferenze? Sono ore sospese dove tutto è possibile, persino un’insperata Salvezza.
A riprova di ciò, tra i tanti artisti presenti in mostra, il cuore al neon di Fabrizio Ceccardi (1960), vissuto con forza nel contrasto tra luce e oscurità, un’alternanza che pare simile al muscolo cardiaco; così come l’intensa poesia Luigi Ghirri (1943-1992), che nelle sue fotografie ritrae un presente divenuto troppo velocemente un malinconico passato. Allo stesso modo fanno le fotografie di Augusto Cantamessa (1927-2018), che narrano un universo di vita intriso di atmosfere piemontesi, uno spaccato sociale e culturale dal forte valore umano. Come racconta Bruna Genovesio, “le sue immagini sono un caleidoscopio di stati d’animo e atmosfere rappresentative di un mondo che mutando continuamente, rimane intatto nelle sue peculiarità umane e naturali”. Atmosfere a che si susseguono negli scatti di Ilaria Abbiento (1975): stregata dal mito del viaggio, coglie l’occasione di scoprire parti di sé attraverso gli scorci di una Sardegna inedita, al punto da abbandonare presto la sfera del reportage per giungere a una ricerca interiore.
Luca Campigotto (1962) propone una veduta di Venezia secondo la prospettiva capovolta di Palazzo Grimani: La Tribuna, viene ripresa secondo il gioco prospettico del “sotto in su”, sulla scia dei pittori illusionistici attivi tra il tardo cinquecento e l’inizio del seicento. La scultura riprende un giovane Ganimede, appeso al centro della sala nell’istante in cui viene rapito da un’aquila mandata da Zeus o, secondo quanto tramandato da Ovidio, impersonata dallo stesso Dio.
La sottile dicotomia che si crea tra i tempi e gli spazi sospesi dell’abitare metropolitano è al centro dell’opera di Marco Dapino (1981), che ispirandosi ai versi delle poesie dello scapigliato Delio Tessa, accompagna lo sguardo del visitatore a immergersi nella scoperta di Milano. Le foto in mostra colgono il tetraedro luminoso ospitato all’ingresso della Stazione Centrale, luogo simbolo della realtà meneghina densa di vite e appuntamenti col destino, svelandone il lato più misterioso, magico e occulto, e mettendo a fuoco l’interazione esistente fra l’uomo e lo spazio circostante. Massimiliano Gatti (1981) propone la serie Anche tu sei collina, ispirata dalla raccolta di nove poesie che Cesare Pavese pubblicò per la prima volta nella rivista Le tre Veneziane, nel 1947. Il “pal di castegn” sorregge le viti, instancabilmente immerso nella terra, arsa d’estate e fradicia d’inverno. Thomas Jorion (1976) propone una serie di scatti tratti da Veduta, progetto fotografico realizzato tra il 2009 e il 2019, in occasione di un Grand Tour lungo la penisola italiana. Un percorso che affonda le proprie radici nei secoli scorsi e che, proprio da essi, pare recuperare una vena decadente, racchiusa nei luoghi abbandonati colmi di magia che ha incontrato.
In mostra, spazio anche al giovanissimo Jacopo Valentini (1990), che raggiunge il suo culmine nella serie di Volcano’s Ubiquity, suo primo lavoro che verte su un neologismo: la vulcanicità. Il progetto fotografico, raccoglie una serie di riflessioni attorno all’immagine del vulcano Vesuvio, elemento distintivo della città di Napoli. L’obbiettivo centrale della sua ricerca consiste nel decontestualizzare determinati elementi di un luogo, strappandoli e reinserendoli in uno spazio distante dall’habitat naturale, come nel caso del biscotto di San Gennaro esposto in mostra.

Ore Sospese. Un Diario Italiano
a cura di Pierre André Podbielski e Maud Greppi

Artisti: Luigi Ghirri, Augusto Cantamessa, Ilaria Abbiento, Luca Campigotto, Bruno Cattani, Fabrizio Ceccardi, Roberto Cotroneo, Marco Dapino, Massimiliano Gatti, Thomas Jorion, Ugo Ricciardi, Marco Rigamonti, Massimo Siragusa, Jacopo Valentini, Francesco Zizola

15 ottobre – dicembre 2020

Podbielski Contemporary
Via Vincenzo Monti 12, Milano

Orari: da martedì a venerdì 14.30-19.00; sabato su appuntamento
Ingresso libero
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ATTENZIONE: Le visite sono regolate dall’attuale normativa Covid-19
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Info:+39 338 238 1720
info@podbielskicontemporary.com
www.podbielskicontemporary.com


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Ore sospese. Un diario italiano | available in artland

11/11/2020

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PREMIO FRANCESCO FABBRI PER LE ARTI CONTEMPORANEE

2/11/2020

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PREMIO FRANCESCO FABBRI PER LE ARTI CONTEMPORANEE

2/11/2020

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Hanno partecipato ben 1190 autori!

Le giurie, riunite in seduta collegiale, hanno decretato i finalisti della nona edizione del Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee
. Le opere saranno esposte nella mostra collettiva curata da Carlo Sala e allestita all’interno dei suggestivi spazi di Villa Brandolini a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso. La nona edizione del Premio Fabbri ha registrato un numero record d’iscrizioni, ben 1190, offrendo un segnale forte in un periodo storico delicato, che ha particolarmente colpito il settore culturale.

Tra le numerose opere candidate, sono risultate finaliste della sezione “Arte Emergente” – dedicata agli under 35 – quelle di: Sveva Angeletti, Marco Antelmi, Luca Bosani, Gianluca Brando, Lucia Bricco, Mara Callegaro, Letizia Calori, Federico Cantale, Alessia Cargnelli, Matteo Costanzo, Nicolò Degiorgis, Antonio Della Guardia, Binta Diaw, Lorenzo Ermini, Valentina Furian, Nicola Lorini, Luca Marcelli, Martina Melilli, Stefan Milosavljevic, Claudia Mirambell Adroher, Caterina Morigi, Francis Offman, Dario Picariello, Giulio Saverio Rossi, Giuliana Rosso, Letizia Scarpello, Davide Sgambaro, Gabriel Stöckli, Davide Stucchi e Eva Chiara Trevisan.

I finalisti della sezione “Fotografia Contemporanea” invece sono: Bruno Baltzer & Leonora Bisagno, Riccardo Banfi, Mariella Bettineschi, Silvia Bigi, Jaspal Birdi, Calori & Maillard, Domenico Camarda, Marina Caneve, Luca Capuano & Camilla Casadei Maldini, Valeria Cherchi, Paolo Ciregia, Federico Clavarino, Mario Cresci, Orecchie d’Asino, Barbara De Vivi, Massimiliano Gatti, Valentina Lapolla, Fabien Marques, Luca Massaro, Valentina Miorandi, Gloria Pasotti, Camillo Pasquarelli, Iacopo Pasqui, Claudia Petraroli, Eleonora Quadri, Alessandro Sambini, Buhlebezwe Siwani, Jacopo Valentini, Rocco Venezia e Martina Zanin.

La mostra dei finalisti presso Villa Brandolini a Pieve di Soligo sarà aperta dal 28 novembre al 20 dicembre, nel pieno rispetto delle normative sanitarie in materia di contenimento dell’epidemia.

Il
19 dicembre, alle ore 17.30, vi sarà la cerimonia di premiazione dove verranno annunciati i vincitori assoluti delle due sezioni, i quali riceveranno un premio acquisto di 5.000 euro e vedranno entrare le loro opere nella collezione della Fondazione. Nel corso della serata saranno inoltre annunciate le menzioni speciali, attribuite ad alcuni lavori particolarmente significativi in termini di ricerca del contemporaneo, e i premi speciali.

La composizione delle giurie si è pregiata anche in quest’edizione di autorevoli critici e curatori. Per la sezione “Arte Emergente” Lorenzo Balbi, Lucrezia Calabrò Visconti, Angel Moya Garcia e Stefano Raimondi; per la sezione “Fotografia Contemporanea” ringraziamo Daniele De Luigi, Francesca Lazzarini, Giangavino Pazzola e Mauro Zanchi; entrambe le giurie hanno goduto della partecipazione del curatore del Premio Carlo Sala.

In attesa di celebrare nel 2021 il decennale del Premio Fabbri, la Fondazione continua nell’impegno di valorizzazione del linguaggio contemporaneo segnalando i processi posti in essere dagli autori che si sono distinti per la ricerca sulle istanze del presente. Il Premio Francesco Fabbri compie così un’opera di scouting delle varie tendenze che compongono il mosaico delle arti visive contemporanee, evidenziandone i caratteri maggiormente innovativi.

Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee
Nona edizione
a cura di Carlo Sala
Villa Brandolini, Solighetto di Pieve di Soligo (Treviso), Piazza Libertà n°7 esposizione: 28 novembre
– 20 dicembre 2020
Cerimonia di premiazione: sabato 19 dicembre ore 17.30.

Il Premio è promosso dalla Fondazione Francesco Fabbri in collaborazione con il Comune di Pieve di Soligo, con il patrocinio di Regione Veneto e Provincia di Treviso e di Landscape Stories e TRA.

Orari di apertura: venerdì e sabato 16.00-19.00; domenica 10.30-12.30 e 16.00-19.00.
Ingresso libero.
info: www.fondazionefrancescofabbri.it
segreteria@fondazionefrancescofabbri.it 

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ore sospese | Podbielski contemporary, milano

7/10/2020

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PODBIELSKI CONTEMPORARY PRESENTA “ORE SOSPESE. Un diario italiano”
UN PROGETTO FOTOGRAFICO A CURA DI PIERRE ANDRÉ PODBIELSKI E MAUD GREPPI,
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DAL 15 OTTOBRE AL 19 DICEMBRE 2020, NEGLI SPAZI DELLA GALLERIA.
 
Opening | 15 ottobre h 14.30 - 20.30

Milano, 15 ottobre 2020 - Podbielski Contemporary propone un progetto espositivo, un omaggio intimo dedicato all’Italia. Tale progetto nasce dalla volontà di riunire sensibilità visive che, per quanto cronologicamente e geograficamente distanti, sono accomunate da un’indagine sugli spazi vuoti e sul tempo sospeso. Le opere in mostra costituiscono una summa di lavori incentrati sul paesaggio italiano, inteso come portatore di valori condivisi, vettore di storia e di memoria – una sorta di contraltare rispetto ai non-luoghi definiti dall’antropologo francese Marc Augé, per cui la vista delle rovine ci fa intuire l’esistenza di un tempo che non è quello di cui parlano i manuali di storia o che i restauri cercano di resuscitare. È un tempo puro, non databile, assente dal nostro mondo d’immagini, di simulacri e di ricostruzioni. Si parla di un’Italia che non viene narrata nell’ottica di un percorso canonico, costellato di luoghi dai connotati chiari, ma di spazi reinterpretati attraverso lo sguardo interiore di diversi fotografi. Il risultato è un lento approdo a una dimensione metafisica, che oltrepassa la realtà oggettiva e tangibile dei singoli soggetti ritratti.
Negli ultimi mesi abbiamo attraversato un periodo di sofferenza e di paura, che ha profondamente inciso sulla nostra percezione dello spazio e del tempo: lo spazio si è ridotto, e il tempo si è dilatato, facendo così avvertire tutto il suo peso, tra l’ansia del presente, l’incertezza del futuro e la possibilità di focalizzarsi in modo più consapevole su alcuni ricordi. D’altronde, come osserva il filosofo Roberto Diodato, noi siamo fatti di tempo, siamo forme di tempo spezzato, pezzi di divenire, eventi, e il mio io non è altro che ricordo e memoria, imprecisa e intermittente. Come noi, anche i luoghi che abitiamo sono essenzialmente fatti di tempo, ed è proprio riflettendo su questa reciproca compenetrazione che il percorso espositivo intende proporre ai suoi noti o dimenticati spazi-di-tempo.
Un lasso temporale, quello della fotografia, che non si sviluppa nel suo perenne trapassare, ma che è tutto concentrato e cristallizzato in un istante carico di senso. È l’istante del battito di Heartbeat, il cuore di neon di Fabrizio Ceccardi (1960), sospeso nella sua abbagliante forza vitale, tra la luce e il buio, tra l’adesso e il mai più. Un cuore artificiale che si lascia cullare dal battito ondivago, silenzioso e a tratti sospeso del quotidiano vivere, nell’accettazione della totale imprevedibilità degli equilibri che dominano l’esistenza. Lo stupore e al contempo la carica vitale emanate dall’immagine, sanciscono l’avvio del percorso narrativo dell’intero progetto.
Nella sezione storicizzata, la lente di Luigi Ghirri (1943-1992) diventa un potente mezzo narrativo capace di cogliere frammenti di una realtà senza tempo, aprendo molteplici possibilità di percezione di sé e del mondo esterno. Nelle sue foto si contempla l’inevitabile poeticità del non ancora e di un presente che, nel momento stesso del suo accadere, diviene già malinconico passato. Tra le vedute raccolte, spicca l’immagine di un bambino fotografato nel suo primo giorno di scuola, alle cui spalle si può scorgere una cartina geografica che ritrae la nostra penisola.
A seguire le fotografie di Augusto Cantamessa (1927-2018), che narrano un universo di vita intriso di atmosfere piemontesi, uno spaccato sociale e culturale dal forte valore umano. Come racconta Bruna Genovesio, le sue immagini sono un caleidoscopio di stati d’animo e atmosfere rappresentative di un mondo che mutando continuamente, rimane intatto nelle sue peculiarità umane e naturali.
All’interno del percorso contemporaneo Ilaria Abbiento (1975) propone una selezione di scatti tratti da Quaderno di un’isola, realizzati all’Asinara, in Sardegna. La sua ricerca si sviluppa attorno al tema del viaggio, inteso metaforicamente come un percorso di ricerca ed approfondimento interiore. È significativa la scelta del faro solitario di Punta Scorno, un luogo custode di una dimensione che si colloca al di fuori dell’umano, inaccessibile, quasi metafisica. La stessa atmosfera traspira da una serie di notturni realizzati da Ugo Ricciardi (1975) presso rinomate zone nuragiche, come il pozzo sacro di Santa Cristina o la Tomba dei Giganti. I suoi scatti sono animati da un’aura di sacralità in grado di cogliere il senso del mistero che aleggia in quei luoghi.
Luca Campigotto (1962) propone una veduta di Venezia secondo la prospettiva capovolta di Palazzo Grimani: La Tribuna, viene ripresa secondo il gioco prospettico del “sotto in su”, sulla scia dei pittori illusionistici attivi tra il tardo cinquecento e l’inizio del seicento. La scultura riprende un giovane Ganimede, appeso al centro della sala nell’istante in cui viene rapito da un’aquila mandata da Zeus o, secondo quanto tramandato da Ovidio, impersonata dallo stesso Dio.
Roberto Cotroneo (1961) espone alcune vedute inedite concepite durante il periodo di lockdown, tra le quali spiccano gli scatti notturni realizzati presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a Roma. Luoghi dove la consuetudine dell’esserci è limitata dagli orari, dai flussi, ed un è tempo deciso da altri… come egli stesso osserva. L’immensità di questi spazi museali, improvvisamente denudata dalla presenza umana, appare immersa in un silenzio surreale, poiché priva dell’elemento che ne anima la loro vita stessa. Le architetture delle sale assumono così una valenza onirica, quasi inquietante, e mostrano quello che non si riesce più a vedere, come succede per buona parte della letteratura, che racconta nient’altro che l’indicibile, l’inesprimibile.
La sottile dicotomia che si crea tra i tempi e gli spazi sospesi dell’abitare metropolitano è al centro dell’opera di Marco Dapino (1981), che ispirandosi ai versi delle poesie dello scapigliato Delio Tessa, accompagna lo sguardo del visitatore a immergersi nella scoperta di Milano. Le foto in mostra sono state realizzate presso la Stazione Centrale, edificio emblematico della città, di cui l’artista vuole portare alla luce il lato più misterioso, magico ed occulto, facendo emergere l’incessante interazione che avviene fra l’uomo e lo spazio circostante.
Massimiliano Gatti (1981) propone la serie Anche tu sei collina, ispirata dalla raccolta di nove poesie che Cesare Pavese pubblicò per la prima volta nella rivista “Le tre Veneziane”, nel 1947. Il pal di castegn sorregge le viti, instancabilmente immerso nella terra, arsa d’estate e fradicia d’inverno. Questi pali sono, ad un tempo, radicamento solido e sostegno stabile per le viti che crescono e ogni anno germogliano uva. Gatti affonda le radici delle sue origini attraverso i pali dei vigneti in collina, una metafora che ben esemplifica lo stretto rapporto che lo lega alla terra natale e alle generazioni passate.
Thomas Jorion (1976) propone una serie di scatti tratti da Veduta, progetto fotografico realizzato tra il 2009 e il 2019, in occasione di un Grand Tour lungo la penisola italiana. Anche in questo caso ci addentriamo in un’Italia magica ed ammaliante, costellata di luoghi intrisi di un magnifico decadentismo. Le persiane chiuse di una sala da ballo, una stanza affrescata, una masseria abbandonata: la natura e il tempo si fanno inesorabilmente spazio in questi luoghi abbandonati.
La ricerca di Marco Rigamonti (1958), dal titolo Presepi e dintorni – Nativity Scenes, si sviluppa lungo le strade di campagna della sua Pianura Padana. Uno sguardo intimo, nostalgico ed affascinante che indugia su quei luoghi dove vigeva l'usanza di esporre presepi intrisi di cultura popolare davanti alle proprie abitazioni, nell'aia della fattoria o nei cortili.
Le fotografie di Massimo Siragusa (1958) ritraggono il famoso Cretto di Gibellina, l’opera di land art che Alberto Burri realizzò, tra il 1984 e il 1989, sulle rovine del paese siciliano distrutto dal terremoto del Belice nel 1968. Dagli scatti emerge la travolgente monumentalità dell’opera, che si contrappone ad una serie di dettagli più materici. Egli stesso descrive che il Cretto di Burri appare di colpo, appena dopo una curva. È una visione impressionante, surreale. Un lenzuolo adagiato sul verde della collina. Burri ha trasformato la tragedia in opera d’arte.
Il percorso artistico di Jacopo Valentini (1990) raggiunge il suo culmine nella serie di Volcano’s Ubiquity, suo primo lavoro che verte su un neologismo: la vulcanicità. Il progetto fotografico, raccoglie una serie di riflessioni attorno all’immagine del vulcano Vesuvio, elemento distintivo della città di Napoli. L’obbiettivo centrale della sua ricerca consiste nel decontestualizzare determinati elementi di un luogo, strappandoli e reinserendoli in uno spazio distante dall’habitat naturale, come nel caso del biscotto di San Gennaro esposto in mostra.
Bruno Cattani (1964), presenta uno scatto da Memorie, serie che raccoglie momenti catturati attraverso frammenti di reale che ci restituiscono emozioni di vita e situazioni che appartengono al passato. Si tratta di volti, oggetti, luoghi e giocattoli che guidano il visitatore in un viaggio attraverso il passato.
A concludere il percorso Francesco Zizola (1962), fotoreporter già vincitore di numerosi premi World Press Photo, che suggerisce un approccio fotografico inedito, con una serie di fotografie che indagano la superficie materica alle pendici dell’Etna: una superficie quasi lunare e al contempo inafferrabile.
 
Riepilogo dei fotografi in mostra:
 
Luigi Ghirri |Augusto Cantamessa | Ilaria Abbiento |Luca Campigotto | Bruno Cattani | Fabrizio Ceccardi | Roberto Cotroneo | Marco Dapino | Massimiliano Gatti | Thomas Jorion | Ugo Ricciardi | Marco Rigamonti |Massimo Siragusa | Jacopo Valentini | Francesco Zizola.
 
Le visite sono regolate dall’attuale normativa Covid: ai visitatori sarà richiesto l’utilizzo della mascherina e il controllo della tempera corporea e il rispetto delle norme per il distanziamento all’interno della galleria.
 
Ingresso libero: martedì – venerdì | h 14.30 – 19
Sabato su appuntamento

PODBIELSKI CONTEMPORARY

Via Vincenzo Monti, 12 | 20123 Milano
Opening Hours: Tues–Fri, 2.30–7pm
Tel: +39 338 238 1720
info@podbielskicontemporary.com
www.podbielskicontemporary.com

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espoarte | STUDIO LA CITTÀ: MASSIMILIANO GATTI RACCONTA LA SUA ALEPH

1/7/2020

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Foto
 VERONA | STUDIO LA CITTÀ | DAL 19 MAGGIO 2020
I ntervista a MASSIMILIANO GATTI di Serena Filippini

Martedì 19 maggio la galleria veronese Studio la Città ha riaperto le sue porte per presentare Aleph, mostra personale di Massimiliano Gatti (Pavia, 1981), fotografo da anni impegnato tra l’Italia e il Medio Oriente al seguito di importanti missioni archeologiche.
La mostra, curata da Maud Greppi, vede protagoniste alcune serie fotografiche realizzate negli ultimi anni come In superficie (2014), Aleppo è una foglia d’alloro (2018), Le nuvole (2019) e La collezione (2020), quest’ultima presentata da Gatti per la prima volta.
In occasione dell’apertura l’abbiamo incontrato per approfondire insieme a lui le direzioni intraprese per il progetto espositivo e la sua ricerca artistica.

Com’è nata la tua mostra personale Aleph? Il titolo è abbastanza emblematico e ricco di significati; ce ne parli?
L’idea è nata quando la gallerista di Studio la Città ed io abbiamo iniziato a pensare a un’idea di mostra andando a scegliere i progetti forse più simbolici e meno descrittivi.
In seguito, con l’aiuto di Maud Greppi, la curatrice, abbiamo definito il filo conduttore che ruota intorno al simbolo dell’Aleph.
Aleph è la prima lettera dell’alfabeto fenicio e corrisponde al numero uno, con l’accezione simbolica di inizio, sorgente, luogo da cui si dipanano tutti i luoghi. Mi piace ricordare che dalla mezzaluna fertile si sono sviluppate le nostre culture e religioni, quindi pensare al Medio Oriente come a una terra primigenia che ha dato origine alla nostra civiltà, come dice Borges nel suo racconto: l’Aleph è «il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli».
Per cui la mostra è una sorta di ricerca dell’Aleph che, come dice Maud Greppi, nel suo testo introduttivo “si delinea come immagine di un infinito nascosto senza presunzione in qualunque anfratto polveroso e abbandonato della quotidianità”.

Questa per te è la prima mostra personale presso Studio la Città; avevi già collaborato prima per altri progetti insieme alla galleria veronese?
Avevo partecipato a una mostra negli spazi di Studio la Città nel 2017, intitolata Archeologie del presente, pensata da Angela Madesani. Si trattava di una mostra con opere di grandi artisti sia arabi che occidentali tra cui Lynn Davis, Gabriele Basilico e altri ancora, che scandagliava attraverso una prospettiva artistica le importanti questioni legate al Vicino Oriente come il colonialismo, l’immigrazione, le recenti guerre e le ferite al patrimonio storico e archeologico.

All’interno della mostra sono esposte quattro serie fotografiche realizzate dal 2014 ad oggi, di cui una inedita intitolata La collezione derivata da una raccolta personale di francobolli siriani; qual è la storia di questa collezione?
Mi sono trovato a riguardare una serie di francobolli siriani e ho cominciato a catalogarli in base a quello che vi era rappresentato. Così facendo mi sono accorto che ne stava nascendo un racconto. Il francobollo è un oggetto molto poetico, nella sua fragilità conserva un forte potere evocativo. Ne risulta una narrazione fortemente simbolica, un accumulo di immagini che delineano il volto di una Siria lontana, immaginata e presente, forse solo ormai, nei miei ricordi e, come la memoria, i francobolli raccontano un paesaggio frammentato e fragile. Per cui mi sembrava perfetto inserire questo nuovo progetto artistico all’interno della mostra Aleph che racconta in maniera molto metaforica il Medio Oriente.

Avendo lavorato per molti anni in Medio Oriente, molte delle tue opere – tra cui alcune esposte in mostra – sono nate ispirandoti a luoghi vissuti e oggetti visti stando al seguito di missioni archeologiche; come avviene il processo creativo per la realizzazione di queste opere? Ci sono differenze rispetto all’iter creativo delle opere realizzate in Italia?
È difficile razionalizzare i meccanismi di un processo creativo, posso dire che il mio approccio è sempre lo stesso: ci sono dinamiche storiche, culturali e sociali che mi interessano e su cui focalizzo la mia attenzione. Alcuni dei miei progetti artistici tra cui Aleppo è una foglia d’alloro o la stessa Collezione sono stati realizzati in Italia sebbene abbiano a che fare con la realtà medio orientale.
Le esperienze in Siria e Iraq mi hanno aperto le porte di una percezione diversa, e nel complesso la visione del mondo attraverso la cultura araba mi ha dato una prospettiva che cerco sempre di seguire. Infatti il mio intento è di sbozzare una situazione complessa e renderla con essenzialità e semplicità. Ma la semplicità non significa superficialità, anzi è il suo contrario, è il risultato di un processo di sintesi molto elaborato, che scava in profondità ed è fatto anche di responsabilità.

Siamo tutti reduci da un periodo di blocco e di obbligata riprogrammazione dei nostri impegni e progetti – la tua stessa mostra avrebbe dovuto essere inaugurata lo scorso marzo – come è stato tornare ad allestire una mostra con una data di apertura reale e non soltanto preventivata come siamo stati abituati a fare negli ultimi mesi? Come pensi reagirà il pubblico alla possibilità di tornare a visitare luoghi d’arte?
Devo dire che quando Studio la Città mi ha proposto l’apertura della mia mostra Aleph, subito dopo il lockdown, ho accolto con grande entusiasmo la proposta. Di fatto è una grande sfida, perché il virus ha radicalmente cambiato il modo di fruire le mostre, non si ha idea di quale possa essere la reazione del pubblico, ma credo che sia un periodo interessante e inaugurare una mostra in questo momento storico è un segnale positivo e di grande coraggio.
Aleph è la prima lettera dell’alfabeto fenicio, è simbolo di inizio e questo non può che essere davvero un nuovo inizio.

Dopo questa mostra hai in programma qualche progetto futuro a cui ti dedicherai?
Il periodo storico che stiamo vivendo ci permette di abbozzare qualche programma, senza avere la certezza che si realizzi. Nel frattempo, sto lavorando a qualche nuovo progetto di ricerca personale, il lockdown che abbiamo passato mi ha fatto tornare a riflettere molto sulle mie radici e le mie origini.
Invece, con la galleria milanese Podbielski Contemporary sto cominciando a stendere un programma di mostre e fiere per la stagione autunnale.

Massimiliano Gatti. Aleph
a cura di Maud Greppi
in collaborazione con Podbielski Contemporary
19 maggio – luglio 2020
Studio la Città
Lungadige Galtarossa, 21, Verona

In osservanza a tutte le disposizioni previste dal Governo è possibile accedere allo spazio muniti di guanti e mascherina nei seguenti orari: da martedì a giovedì 10.00-13.00 e 15.00-18.00
Ingresso libero.

Le visite guidate, della durata di 50 minuti, con prenotazione obbligatoria per un massimo di 8 persone, vengono effettuate nelle seguenti giornate:
venerdì 13.30-14.30 e 16.00-18.00 e sabato 11.00-13.00 e 16.00- 18.00
Info: +39 045597549
info@studiolacitta.it
www.studiolacitta.it

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artribune | Massimiliano Gatti: uno sguardo contemporaneo sugli scavi archeologici in Medio Oriente

1/7/2020

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Foto
POSTICIPATA A CAUSA DELLA PANDEMIA, HA APERTO LA MOSTRA PRESSO STUDIO LA CITTÀ DI VERONA DEDICATA AL FOTOGRAFO CHE DA ANNI SI DIVIDE TRA ITALIA E MEDIO ORIENTE, A FIANCO DI IMPORTANTI MISSIONI ARCHEOLOGICHE. LO SCOPO ULTIMO NON È LA SEMPLICE DOCUMENTAZIONE, MA LA COMPRENSIONE DELLE ROVINE IN CHIAVE CONTEMPORANEA.

Non si tratta di realizzare un reportage degli scavi archeologici, bensì di leggere le rovine del Medio Oriente attraverso uno sguardo profondamente inserito nella contemporaneità. Su questo si focalizza la ricerca di 
Massimiliano Gatti (Pavia, 1981), laureato prima in Farmacia e poi in Fotografia alla Bauer di Milano, lo stesso autore con cui la Galleria Podbielski di Milano aveva inaugurato il suo spazio. La sua carriera artistica è iniziata partendo al fianco di importanti missioni archeologiche: prima a Qatna, in Siria, dove ha operato dal 2008 al 2011, poi con il Progetto Archeologico Regionale Terra di Ninive (PARTeN), nel Kurdistan iracheno, finanziato dall’Università di Udine assieme a Fondazione CRUP. Quei luoghi, quei monumenti e quegli oggetti dal sapore antico e ancestrale vengono raccontati in una mostra personale a lui dedicata da Studio la Città di Verona: il titolo, Aleph, è la traslitterazione della prima lettera dell’alfabeto fenicio, adottata anche da quello ebraico. Si tratta di una lettera che simboleggia anche un numero e il concetto di inizio, dove tutto ha origine. La mostra rimarrà allestita fino al 31 luglio. Per accedervi, è necessario prenotare in anticipo la propria visita scrivendo una mail a gallery@studiolacitta.it.

MASSIMILIANO GATTI DA STUDIO LA CITTÀ DI VERONA
“Nell’alfabeto ebraico le lettere venivano impiegate anche come numeri, e ad Aleph corrispondeva il numero uno, ricoprendo così l’accezione simbolica di inizio, sorgente, luogo da cui si dipanano tutti i luoghi”, spiega la curatrice Maud Greppi a proposito del lavoro di Gatti, che da anni divide la sua vita professionale tra Italia e Medio Oriente. “Dal significato di questa parola viene così a definirsi l’incipit di un percorso espositivo improntato sull’esperienza maturata da Massimiliano Gatti in Medio Oriente, coniugando a una ricerca approfondita di stampo documentaristico un racconto intimo volto a tramandare una memoria nel tempo. In questo senso Aleph può essere inteso come punto di inizio, l’avvio di un percorso in costante trasformazione verso futuro ignoto, proprio come quello di queste terre, culla della nostra civiltà”.

LE OPERE IN MOSTRA A STUDIO LA CITTÀ DI VERONA
Le opere in mostra sono tratte da quattro serie. In Superficie (2014), realizzata in occasione della missione archeologica organizzata dall’Università di Udine in Iraq, nei pressi dell’antica città di Ninive, Aleppo è una foglia d’Alloro, incentrata sullo scorrere inesorabile del tempo e sulle sue conseguenze, Le Nuvole, gruppo di lavori dove Gatti accosta immagini del sito archeologico di Palmira, a coltri di nubi che ne documentano la devastazione per mano dell’ISIS e La Collezione, serie inedita esposta per la prima volta nella galleria veronese: una narrazione fortemente simbolica di una Siria che ormai non c’è più ma che rivive nella raccolta personale di francobolli dell’autore.

-Giulia Ronchi

Massimiliano Gatti, Aleph
fino al 31 luglio 2020
Studio la Città
Lungadige Galtarossa 21, Verona
http://studiolacitta.it/
Per prenotazioni: gallery@studiolacitta.it


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