It’s a Mad, Mad, Mad, Mad World #23.
Intervista a Massimiliano Gatti
Milano Art Guide ed exibart presentano It’s a Mad, Mad, Mad, Mad World, un atlante della fotografia degli anni 2020, da scoprire ogni settimana su Instagram: l’ospite di questa settimana è Massimiliano Gatti. Per dare un’occhiata al takeover nelle stories del nostro account instagram, vi basta cliccare qui.
A cosa stai lavorando?
«In questo momento, sto lavorando su un archivio di stereofotografie conservate al California Museum of Photography di Riverside (CA). Si tratta di immagini di inizio novecento che ritraggono il Medio Oriente. La mia osservazione si focalizza sull’atteggiamento di rappresentazione di quei luoghi, sul processo di creazione di uno stereotipo e su quello sguardo che potrei definire dall’alto. Una prospettiva che Edward Said ha definito nel suo saggio Orientalism come una strategia dell’Occidente per esercitare la propria influenza e il proprio controllo sull’Oriente e che diventa un’impalcatura culturale per giustificare l’egemonia coloniale su quei territori.
Nel frattempo, sto preparando una mostra Not only history, but our memories, curata da Carlo Sala negli spazi della galleria Podbielski Contemporary, a Milano. La mostra, che raccoglie lavori anche di altri artisti tra cui Silvia Bigi, Marina Caneve, Federico Clavarino, Francesca Catastini, Giulia Parlato e Jacopo Valentini, intende indagare il rapporto tra la memoria personale e la storia. In quest’occasione presento il mio lavoro Le nuvole, una serie di dittici in cui si affiancano le immagini che ho scattato a Palmira e degli still frame di video di propaganda dell’ISIS che ritraggono le nuvole di polvere delle esplosioni che hanno devastato l’antica città siriana. In questo progetto la mia esperienza personale e i miei ricordi si mescolano alla storia di distruzione e negazione che è passata da Palmira e dalla Siria.»
Come trovi ispirazione per il tuo lavoro? E cosa ti ispira di più?
«Sono molto interessato alla storia, da un lato e dall’altro a tutti i meccanismi sociali e culturali della nostra epoca. Io ho lavorato per anni in Medio Oriente, dalla Siria all’Iraq e anche da lontano, rifletto, con il mio lavoro, sulla realtà di quella terra che ha millenni di storia alle spalle e un presente difficile di tensioni e guerre. Devo dire che la lettura è la mia principale fonte di ispirazione, recentemente ho letto Undici pianeti di Mahmoud Darwish e la sua visione del passato arabo della Spagna del sud, dove ho studiato, mi ha fatto mettere in discussione la mia percezione di quei luoghi e anche dei miei ricordi personali.»
Cosa significa fotografare negli Anni Venti del Duemila?
«Fotografare negli Anni Venti del Duemila significa non avere a che fare necessariamente con la macchina fotografica. Io mi sono formato alla scuola Bauer di Milano, dove si è sempre data molta importanza alla tecnica oltre che al pensiero che sta dietro a ogni progetto fotografico. Ma adesso stiamo vivendo un’interessante stagione artistica in cui sta diventando centrale nella pratica, l’appropriazione di immagini che provengono da diversi devices, come se ci fosse un ritorno all’inconscio fotografico di Vaccari. Io stesso sto lavorando su archivio di immagini che non ho scattato, ma interpreto, a distanza di anni, con la mia prospettiva artistica.»
Il 2020 in una foto?