Massimiliano Gatti
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Massimiliano Gatti

espoarte | “ORE SOSPESE”: CRONACA INTIMA DI UN’ITALIA SENTIMENTALE

4/12/2020

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MILANO | PODBIELSKI CONTEMPORARY | 15 OTTOBRE – DICEMBRE 2020

Foto
di PIETRO BAZZOLI

Osservando i muri di marmo e i viali polverosi ritratti nelle fotografie sulle pareti della galleria Podbielski Contemporary di Milano non si può far a meno di avvertire una nota intima e stranianti insieme: sono visioni, scorci rubati di un Bel Paese difficile da riconoscere.
Forse si tratta di istantanee più propriamente riconducibili al ricordo del singolo, piuttosto che alla nazional popolare iconoclastia di un paese da cartolina. È, dunque, tale punto di osservazione particolareggiato che rende in modo assai più peculiare e interessante una realtà dai contorni intangibili, sfumati; luoghi dove, sebbene la singolarità prevalga sulla massa, si assiste a un’affermazione così forte della poetica da renderne universale il valore. Senza stupirsi se quello ritratto sia un luogo che si dovrebbe o potrebbe conoscere: è un’altra Italia, vissuta esclusivamente attraverso la lente della macchina fotografica. Un paese che si fa vettore di storia e di memoria, una sorta di contraltare rispetto ai non-luoghi definiti dall’antropologo francese Marc Augé, per cui “la vista delle rovine ci fa intuire l’esistenza di un tempo che non è quello di cui parlano i manuali di storia o che i restauri cercano di resuscitare. È un tempo puro, non databile, assente dal nostro mondo d’immagini, di simulacri e di ricostruzioni”.
Un’Italia, dunque, non canonica bensì ampiamente filtrata dallo sguardo interiore dei diversi fotografi, in un misto di prospettive che sfondano la dimensione metafisica surclassando l’elemento tangibile dell’oggetto.
Non è difficile immaginare il parallelismo esistente tra questi luoghi romantici sentimentali e la pandemia in atto, come se la fotografia fosse momento di rifugio per allontanarsi dalle sofferenze del presente, lasciandosi cullare da una atemporalità lontana persino dalle nozioni della fisica. Ne consegue un concentrarsi sulla materia del ricordo tale da ridurre lo spazio in favore di un tempo che appare tanto più infinito quanto, oggi, si avverte nel suo scorrere. D’altronde, come osserva il filosofo Roberto Diodato, “noi siamo fatti di tempo, siamo forme di tempo spezzato, pezzi di divenire, eventi, e il mio io non è altro che ricordo e memoria, imprecisa e intermittente”.
Un eccesso di sentimentalismo, forse, se analizzato dal clinico cinismo a cui la cronaca odierna ha abituato lo spettatore italiano, ma come biasimare l’animo fragile dell’essere umano che colto nell’ora d’annata del travaglio 
– emotivo, fisico, affettivo, contestuale e futuribile – cerca in un paesaggio muto qualcosa che possa lenirne le sofferenze? Sono ore sospese dove tutto è possibile, persino un’insperata Salvezza.
A riprova di ciò, tra i tanti artisti presenti in mostra, il cuore al neon di Fabrizio Ceccardi (1960), vissuto con forza nel contrasto tra luce e oscurità, un’alternanza che pare simile al muscolo cardiaco; così come l’intensa poesia Luigi Ghirri (1943-1992), che nelle sue fotografie ritrae un presente divenuto troppo velocemente un malinconico passato. Allo stesso modo fanno le fotografie di Augusto Cantamessa (1927-2018), che narrano un universo di vita intriso di atmosfere piemontesi, uno spaccato sociale e culturale dal forte valore umano. Come racconta Bruna Genovesio, “le sue immagini sono un caleidoscopio di stati d’animo e atmosfere rappresentative di un mondo che mutando continuamente, rimane intatto nelle sue peculiarità umane e naturali”. Atmosfere a che si susseguono negli scatti di Ilaria Abbiento (1975): stregata dal mito del viaggio, coglie l’occasione di scoprire parti di sé attraverso gli scorci di una Sardegna inedita, al punto da abbandonare presto la sfera del reportage per giungere a una ricerca interiore.
Luca Campigotto (1962) propone una veduta di Venezia secondo la prospettiva capovolta di Palazzo Grimani: La Tribuna, viene ripresa secondo il gioco prospettico del “sotto in su”, sulla scia dei pittori illusionistici attivi tra il tardo cinquecento e l’inizio del seicento. La scultura riprende un giovane Ganimede, appeso al centro della sala nell’istante in cui viene rapito da un’aquila mandata da Zeus o, secondo quanto tramandato da Ovidio, impersonata dallo stesso Dio.
La sottile dicotomia che si crea tra i tempi e gli spazi sospesi dell’abitare metropolitano è al centro dell’opera di Marco Dapino (1981), che ispirandosi ai versi delle poesie dello scapigliato Delio Tessa, accompagna lo sguardo del visitatore a immergersi nella scoperta di Milano. Le foto in mostra colgono il tetraedro luminoso ospitato all’ingresso della Stazione Centrale, luogo simbolo della realtà meneghina densa di vite e appuntamenti col destino, svelandone il lato più misterioso, magico e occulto, e mettendo a fuoco l’interazione esistente fra l’uomo e lo spazio circostante. Massimiliano Gatti (1981) propone la serie Anche tu sei collina, ispirata dalla raccolta di nove poesie che Cesare Pavese pubblicò per la prima volta nella rivista Le tre Veneziane, nel 1947. Il “pal di castegn” sorregge le viti, instancabilmente immerso nella terra, arsa d’estate e fradicia d’inverno. Thomas Jorion (1976) propone una serie di scatti tratti da Veduta, progetto fotografico realizzato tra il 2009 e il 2019, in occasione di un Grand Tour lungo la penisola italiana. Un percorso che affonda le proprie radici nei secoli scorsi e che, proprio da essi, pare recuperare una vena decadente, racchiusa nei luoghi abbandonati colmi di magia che ha incontrato.
In mostra, spazio anche al giovanissimo Jacopo Valentini (1990), che raggiunge il suo culmine nella serie di Volcano’s Ubiquity, suo primo lavoro che verte su un neologismo: la vulcanicità. Il progetto fotografico, raccoglie una serie di riflessioni attorno all’immagine del vulcano Vesuvio, elemento distintivo della città di Napoli. L’obbiettivo centrale della sua ricerca consiste nel decontestualizzare determinati elementi di un luogo, strappandoli e reinserendoli in uno spazio distante dall’habitat naturale, come nel caso del biscotto di San Gennaro esposto in mostra.

Ore Sospese. Un Diario Italiano
a cura di Pierre André Podbielski e Maud Greppi

Artisti: Luigi Ghirri, Augusto Cantamessa, Ilaria Abbiento, Luca Campigotto, Bruno Cattani, Fabrizio Ceccardi, Roberto Cotroneo, Marco Dapino, Massimiliano Gatti, Thomas Jorion, Ugo Ricciardi, Marco Rigamonti, Massimo Siragusa, Jacopo Valentini, Francesco Zizola

15 ottobre – dicembre 2020

Podbielski Contemporary
Via Vincenzo Monti 12, Milano

Orari: da martedì a venerdì 14.30-19.00; sabato su appuntamento
Ingresso libero
​

ATTENZIONE: Le visite sono regolate dall’attuale normativa Covid-19
​
Info:+39 338 238 1720
info@podbielskicontemporary.com
www.podbielskicontemporary.com


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Ore sospese. Un diario italiano | available in artland

11/11/2020

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PREMIO FRANCESCO FABBRI PER LE ARTI CONTEMPORANEE

2/11/2020

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PREMIO FRANCESCO FABBRI PER LE ARTI CONTEMPORANEE

2/11/2020

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Hanno partecipato ben 1190 autori!

Le giurie, riunite in seduta collegiale, hanno decretato i finalisti della nona edizione del Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee
. Le opere saranno esposte nella mostra collettiva curata da Carlo Sala e allestita all’interno dei suggestivi spazi di Villa Brandolini a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso. La nona edizione del Premio Fabbri ha registrato un numero record d’iscrizioni, ben 1190, offrendo un segnale forte in un periodo storico delicato, che ha particolarmente colpito il settore culturale.

Tra le numerose opere candidate, sono risultate finaliste della sezione “Arte Emergente” – dedicata agli under 35 – quelle di: Sveva Angeletti, Marco Antelmi, Luca Bosani, Gianluca Brando, Lucia Bricco, Mara Callegaro, Letizia Calori, Federico Cantale, Alessia Cargnelli, Matteo Costanzo, Nicolò Degiorgis, Antonio Della Guardia, Binta Diaw, Lorenzo Ermini, Valentina Furian, Nicola Lorini, Luca Marcelli, Martina Melilli, Stefan Milosavljevic, Claudia Mirambell Adroher, Caterina Morigi, Francis Offman, Dario Picariello, Giulio Saverio Rossi, Giuliana Rosso, Letizia Scarpello, Davide Sgambaro, Gabriel Stöckli, Davide Stucchi e Eva Chiara Trevisan.

I finalisti della sezione “Fotografia Contemporanea” invece sono: Bruno Baltzer & Leonora Bisagno, Riccardo Banfi, Mariella Bettineschi, Silvia Bigi, Jaspal Birdi, Calori & Maillard, Domenico Camarda, Marina Caneve, Luca Capuano & Camilla Casadei Maldini, Valeria Cherchi, Paolo Ciregia, Federico Clavarino, Mario Cresci, Orecchie d’Asino, Barbara De Vivi, Massimiliano Gatti, Valentina Lapolla, Fabien Marques, Luca Massaro, Valentina Miorandi, Gloria Pasotti, Camillo Pasquarelli, Iacopo Pasqui, Claudia Petraroli, Eleonora Quadri, Alessandro Sambini, Buhlebezwe Siwani, Jacopo Valentini, Rocco Venezia e Martina Zanin.

La mostra dei finalisti presso Villa Brandolini a Pieve di Soligo sarà aperta dal 28 novembre al 20 dicembre, nel pieno rispetto delle normative sanitarie in materia di contenimento dell’epidemia.

Il
19 dicembre, alle ore 17.30, vi sarà la cerimonia di premiazione dove verranno annunciati i vincitori assoluti delle due sezioni, i quali riceveranno un premio acquisto di 5.000 euro e vedranno entrare le loro opere nella collezione della Fondazione. Nel corso della serata saranno inoltre annunciate le menzioni speciali, attribuite ad alcuni lavori particolarmente significativi in termini di ricerca del contemporaneo, e i premi speciali.

La composizione delle giurie si è pregiata anche in quest’edizione di autorevoli critici e curatori. Per la sezione “Arte Emergente” Lorenzo Balbi, Lucrezia Calabrò Visconti, Angel Moya Garcia e Stefano Raimondi; per la sezione “Fotografia Contemporanea” ringraziamo Daniele De Luigi, Francesca Lazzarini, Giangavino Pazzola e Mauro Zanchi; entrambe le giurie hanno goduto della partecipazione del curatore del Premio Carlo Sala.

In attesa di celebrare nel 2021 il decennale del Premio Fabbri, la Fondazione continua nell’impegno di valorizzazione del linguaggio contemporaneo segnalando i processi posti in essere dagli autori che si sono distinti per la ricerca sulle istanze del presente. Il Premio Francesco Fabbri compie così un’opera di scouting delle varie tendenze che compongono il mosaico delle arti visive contemporanee, evidenziandone i caratteri maggiormente innovativi.

Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee
Nona edizione
a cura di Carlo Sala
Villa Brandolini, Solighetto di Pieve di Soligo (Treviso), Piazza Libertà n°7 esposizione: 28 novembre
– 20 dicembre 2020
Cerimonia di premiazione: sabato 19 dicembre ore 17.30.

Il Premio è promosso dalla Fondazione Francesco Fabbri in collaborazione con il Comune di Pieve di Soligo, con il patrocinio di Regione Veneto e Provincia di Treviso e di Landscape Stories e TRA.

Orari di apertura: venerdì e sabato 16.00-19.00; domenica 10.30-12.30 e 16.00-19.00.
Ingresso libero.
info: www.fondazionefrancescofabbri.it
segreteria@fondazionefrancescofabbri.it 

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ore sospese | Podbielski contemporary, milano

7/10/2020

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Foto
PODBIELSKI CONTEMPORARY PRESENTA “ORE SOSPESE. Un diario italiano”
UN PROGETTO FOTOGRAFICO A CURA DI PIERRE ANDRÉ PODBIELSKI E MAUD GREPPI,
​
DAL 15 OTTOBRE AL 19 DICEMBRE 2020, NEGLI SPAZI DELLA GALLERIA.
 
Opening | 15 ottobre h 14.30 - 20.30

Milano, 15 ottobre 2020 - Podbielski Contemporary propone un progetto espositivo, un omaggio intimo dedicato all’Italia. Tale progetto nasce dalla volontà di riunire sensibilità visive che, per quanto cronologicamente e geograficamente distanti, sono accomunate da un’indagine sugli spazi vuoti e sul tempo sospeso. Le opere in mostra costituiscono una summa di lavori incentrati sul paesaggio italiano, inteso come portatore di valori condivisi, vettore di storia e di memoria – una sorta di contraltare rispetto ai non-luoghi definiti dall’antropologo francese Marc Augé, per cui la vista delle rovine ci fa intuire l’esistenza di un tempo che non è quello di cui parlano i manuali di storia o che i restauri cercano di resuscitare. È un tempo puro, non databile, assente dal nostro mondo d’immagini, di simulacri e di ricostruzioni. Si parla di un’Italia che non viene narrata nell’ottica di un percorso canonico, costellato di luoghi dai connotati chiari, ma di spazi reinterpretati attraverso lo sguardo interiore di diversi fotografi. Il risultato è un lento approdo a una dimensione metafisica, che oltrepassa la realtà oggettiva e tangibile dei singoli soggetti ritratti.
Negli ultimi mesi abbiamo attraversato un periodo di sofferenza e di paura, che ha profondamente inciso sulla nostra percezione dello spazio e del tempo: lo spazio si è ridotto, e il tempo si è dilatato, facendo così avvertire tutto il suo peso, tra l’ansia del presente, l’incertezza del futuro e la possibilità di focalizzarsi in modo più consapevole su alcuni ricordi. D’altronde, come osserva il filosofo Roberto Diodato, noi siamo fatti di tempo, siamo forme di tempo spezzato, pezzi di divenire, eventi, e il mio io non è altro che ricordo e memoria, imprecisa e intermittente. Come noi, anche i luoghi che abitiamo sono essenzialmente fatti di tempo, ed è proprio riflettendo su questa reciproca compenetrazione che il percorso espositivo intende proporre ai suoi noti o dimenticati spazi-di-tempo.
Un lasso temporale, quello della fotografia, che non si sviluppa nel suo perenne trapassare, ma che è tutto concentrato e cristallizzato in un istante carico di senso. È l’istante del battito di Heartbeat, il cuore di neon di Fabrizio Ceccardi (1960), sospeso nella sua abbagliante forza vitale, tra la luce e il buio, tra l’adesso e il mai più. Un cuore artificiale che si lascia cullare dal battito ondivago, silenzioso e a tratti sospeso del quotidiano vivere, nell’accettazione della totale imprevedibilità degli equilibri che dominano l’esistenza. Lo stupore e al contempo la carica vitale emanate dall’immagine, sanciscono l’avvio del percorso narrativo dell’intero progetto.
Nella sezione storicizzata, la lente di Luigi Ghirri (1943-1992) diventa un potente mezzo narrativo capace di cogliere frammenti di una realtà senza tempo, aprendo molteplici possibilità di percezione di sé e del mondo esterno. Nelle sue foto si contempla l’inevitabile poeticità del non ancora e di un presente che, nel momento stesso del suo accadere, diviene già malinconico passato. Tra le vedute raccolte, spicca l’immagine di un bambino fotografato nel suo primo giorno di scuola, alle cui spalle si può scorgere una cartina geografica che ritrae la nostra penisola.
A seguire le fotografie di Augusto Cantamessa (1927-2018), che narrano un universo di vita intriso di atmosfere piemontesi, uno spaccato sociale e culturale dal forte valore umano. Come racconta Bruna Genovesio, le sue immagini sono un caleidoscopio di stati d’animo e atmosfere rappresentative di un mondo che mutando continuamente, rimane intatto nelle sue peculiarità umane e naturali.
All’interno del percorso contemporaneo Ilaria Abbiento (1975) propone una selezione di scatti tratti da Quaderno di un’isola, realizzati all’Asinara, in Sardegna. La sua ricerca si sviluppa attorno al tema del viaggio, inteso metaforicamente come un percorso di ricerca ed approfondimento interiore. È significativa la scelta del faro solitario di Punta Scorno, un luogo custode di una dimensione che si colloca al di fuori dell’umano, inaccessibile, quasi metafisica. La stessa atmosfera traspira da una serie di notturni realizzati da Ugo Ricciardi (1975) presso rinomate zone nuragiche, come il pozzo sacro di Santa Cristina o la Tomba dei Giganti. I suoi scatti sono animati da un’aura di sacralità in grado di cogliere il senso del mistero che aleggia in quei luoghi.
Luca Campigotto (1962) propone una veduta di Venezia secondo la prospettiva capovolta di Palazzo Grimani: La Tribuna, viene ripresa secondo il gioco prospettico del “sotto in su”, sulla scia dei pittori illusionistici attivi tra il tardo cinquecento e l’inizio del seicento. La scultura riprende un giovane Ganimede, appeso al centro della sala nell’istante in cui viene rapito da un’aquila mandata da Zeus o, secondo quanto tramandato da Ovidio, impersonata dallo stesso Dio.
Roberto Cotroneo (1961) espone alcune vedute inedite concepite durante il periodo di lockdown, tra le quali spiccano gli scatti notturni realizzati presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a Roma. Luoghi dove la consuetudine dell’esserci è limitata dagli orari, dai flussi, ed un è tempo deciso da altri… come egli stesso osserva. L’immensità di questi spazi museali, improvvisamente denudata dalla presenza umana, appare immersa in un silenzio surreale, poiché priva dell’elemento che ne anima la loro vita stessa. Le architetture delle sale assumono così una valenza onirica, quasi inquietante, e mostrano quello che non si riesce più a vedere, come succede per buona parte della letteratura, che racconta nient’altro che l’indicibile, l’inesprimibile.
La sottile dicotomia che si crea tra i tempi e gli spazi sospesi dell’abitare metropolitano è al centro dell’opera di Marco Dapino (1981), che ispirandosi ai versi delle poesie dello scapigliato Delio Tessa, accompagna lo sguardo del visitatore a immergersi nella scoperta di Milano. Le foto in mostra sono state realizzate presso la Stazione Centrale, edificio emblematico della città, di cui l’artista vuole portare alla luce il lato più misterioso, magico ed occulto, facendo emergere l’incessante interazione che avviene fra l’uomo e lo spazio circostante.
Massimiliano Gatti (1981) propone la serie Anche tu sei collina, ispirata dalla raccolta di nove poesie che Cesare Pavese pubblicò per la prima volta nella rivista “Le tre Veneziane”, nel 1947. Il pal di castegn sorregge le viti, instancabilmente immerso nella terra, arsa d’estate e fradicia d’inverno. Questi pali sono, ad un tempo, radicamento solido e sostegno stabile per le viti che crescono e ogni anno germogliano uva. Gatti affonda le radici delle sue origini attraverso i pali dei vigneti in collina, una metafora che ben esemplifica lo stretto rapporto che lo lega alla terra natale e alle generazioni passate.
Thomas Jorion (1976) propone una serie di scatti tratti da Veduta, progetto fotografico realizzato tra il 2009 e il 2019, in occasione di un Grand Tour lungo la penisola italiana. Anche in questo caso ci addentriamo in un’Italia magica ed ammaliante, costellata di luoghi intrisi di un magnifico decadentismo. Le persiane chiuse di una sala da ballo, una stanza affrescata, una masseria abbandonata: la natura e il tempo si fanno inesorabilmente spazio in questi luoghi abbandonati.
La ricerca di Marco Rigamonti (1958), dal titolo Presepi e dintorni – Nativity Scenes, si sviluppa lungo le strade di campagna della sua Pianura Padana. Uno sguardo intimo, nostalgico ed affascinante che indugia su quei luoghi dove vigeva l'usanza di esporre presepi intrisi di cultura popolare davanti alle proprie abitazioni, nell'aia della fattoria o nei cortili.
Le fotografie di Massimo Siragusa (1958) ritraggono il famoso Cretto di Gibellina, l’opera di land art che Alberto Burri realizzò, tra il 1984 e il 1989, sulle rovine del paese siciliano distrutto dal terremoto del Belice nel 1968. Dagli scatti emerge la travolgente monumentalità dell’opera, che si contrappone ad una serie di dettagli più materici. Egli stesso descrive che il Cretto di Burri appare di colpo, appena dopo una curva. È una visione impressionante, surreale. Un lenzuolo adagiato sul verde della collina. Burri ha trasformato la tragedia in opera d’arte.
Il percorso artistico di Jacopo Valentini (1990) raggiunge il suo culmine nella serie di Volcano’s Ubiquity, suo primo lavoro che verte su un neologismo: la vulcanicità. Il progetto fotografico, raccoglie una serie di riflessioni attorno all’immagine del vulcano Vesuvio, elemento distintivo della città di Napoli. L’obbiettivo centrale della sua ricerca consiste nel decontestualizzare determinati elementi di un luogo, strappandoli e reinserendoli in uno spazio distante dall’habitat naturale, come nel caso del biscotto di San Gennaro esposto in mostra.
Bruno Cattani (1964), presenta uno scatto da Memorie, serie che raccoglie momenti catturati attraverso frammenti di reale che ci restituiscono emozioni di vita e situazioni che appartengono al passato. Si tratta di volti, oggetti, luoghi e giocattoli che guidano il visitatore in un viaggio attraverso il passato.
A concludere il percorso Francesco Zizola (1962), fotoreporter già vincitore di numerosi premi World Press Photo, che suggerisce un approccio fotografico inedito, con una serie di fotografie che indagano la superficie materica alle pendici dell’Etna: una superficie quasi lunare e al contempo inafferrabile.
 
Riepilogo dei fotografi in mostra:
 
Luigi Ghirri |Augusto Cantamessa | Ilaria Abbiento |Luca Campigotto | Bruno Cattani | Fabrizio Ceccardi | Roberto Cotroneo | Marco Dapino | Massimiliano Gatti | Thomas Jorion | Ugo Ricciardi | Marco Rigamonti |Massimo Siragusa | Jacopo Valentini | Francesco Zizola.
 
Le visite sono regolate dall’attuale normativa Covid: ai visitatori sarà richiesto l’utilizzo della mascherina e il controllo della tempera corporea e il rispetto delle norme per il distanziamento all’interno della galleria.
 
Ingresso libero: martedì – venerdì | h 14.30 – 19
Sabato su appuntamento

PODBIELSKI CONTEMPORARY

Via Vincenzo Monti, 12 | 20123 Milano
Opening Hours: Tues–Fri, 2.30–7pm
Tel: +39 338 238 1720
info@podbielskicontemporary.com
www.podbielskicontemporary.com

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espoarte | STUDIO LA CITTÀ: MASSIMILIANO GATTI RACCONTA LA SUA ALEPH

1/7/2020

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Foto
 VERONA | STUDIO LA CITTÀ | DAL 19 MAGGIO 2020
I ntervista a MASSIMILIANO GATTI di Serena Filippini

Martedì 19 maggio la galleria veronese Studio la Città ha riaperto le sue porte per presentare Aleph, mostra personale di Massimiliano Gatti (Pavia, 1981), fotografo da anni impegnato tra l’Italia e il Medio Oriente al seguito di importanti missioni archeologiche.
La mostra, curata da Maud Greppi, vede protagoniste alcune serie fotografiche realizzate negli ultimi anni come In superficie (2014), Aleppo è una foglia d’alloro (2018), Le nuvole (2019) e La collezione (2020), quest’ultima presentata da Gatti per la prima volta.
In occasione dell’apertura l’abbiamo incontrato per approfondire insieme a lui le direzioni intraprese per il progetto espositivo e la sua ricerca artistica.

Com’è nata la tua mostra personale Aleph? Il titolo è abbastanza emblematico e ricco di significati; ce ne parli?
L’idea è nata quando la gallerista di Studio la Città ed io abbiamo iniziato a pensare a un’idea di mostra andando a scegliere i progetti forse più simbolici e meno descrittivi.
In seguito, con l’aiuto di Maud Greppi, la curatrice, abbiamo definito il filo conduttore che ruota intorno al simbolo dell’Aleph.
Aleph è la prima lettera dell’alfabeto fenicio e corrisponde al numero uno, con l’accezione simbolica di inizio, sorgente, luogo da cui si dipanano tutti i luoghi. Mi piace ricordare che dalla mezzaluna fertile si sono sviluppate le nostre culture e religioni, quindi pensare al Medio Oriente come a una terra primigenia che ha dato origine alla nostra civiltà, come dice Borges nel suo racconto: l’Aleph è «il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli».
Per cui la mostra è una sorta di ricerca dell’Aleph che, come dice Maud Greppi, nel suo testo introduttivo “si delinea come immagine di un infinito nascosto senza presunzione in qualunque anfratto polveroso e abbandonato della quotidianità”.

Questa per te è la prima mostra personale presso Studio la Città; avevi già collaborato prima per altri progetti insieme alla galleria veronese?
Avevo partecipato a una mostra negli spazi di Studio la Città nel 2017, intitolata Archeologie del presente, pensata da Angela Madesani. Si trattava di una mostra con opere di grandi artisti sia arabi che occidentali tra cui Lynn Davis, Gabriele Basilico e altri ancora, che scandagliava attraverso una prospettiva artistica le importanti questioni legate al Vicino Oriente come il colonialismo, l’immigrazione, le recenti guerre e le ferite al patrimonio storico e archeologico.

All’interno della mostra sono esposte quattro serie fotografiche realizzate dal 2014 ad oggi, di cui una inedita intitolata La collezione derivata da una raccolta personale di francobolli siriani; qual è la storia di questa collezione?
Mi sono trovato a riguardare una serie di francobolli siriani e ho cominciato a catalogarli in base a quello che vi era rappresentato. Così facendo mi sono accorto che ne stava nascendo un racconto. Il francobollo è un oggetto molto poetico, nella sua fragilità conserva un forte potere evocativo. Ne risulta una narrazione fortemente simbolica, un accumulo di immagini che delineano il volto di una Siria lontana, immaginata e presente, forse solo ormai, nei miei ricordi e, come la memoria, i francobolli raccontano un paesaggio frammentato e fragile. Per cui mi sembrava perfetto inserire questo nuovo progetto artistico all’interno della mostra Aleph che racconta in maniera molto metaforica il Medio Oriente.

Avendo lavorato per molti anni in Medio Oriente, molte delle tue opere – tra cui alcune esposte in mostra – sono nate ispirandoti a luoghi vissuti e oggetti visti stando al seguito di missioni archeologiche; come avviene il processo creativo per la realizzazione di queste opere? Ci sono differenze rispetto all’iter creativo delle opere realizzate in Italia?
È difficile razionalizzare i meccanismi di un processo creativo, posso dire che il mio approccio è sempre lo stesso: ci sono dinamiche storiche, culturali e sociali che mi interessano e su cui focalizzo la mia attenzione. Alcuni dei miei progetti artistici tra cui Aleppo è una foglia d’alloro o la stessa Collezione sono stati realizzati in Italia sebbene abbiano a che fare con la realtà medio orientale.
Le esperienze in Siria e Iraq mi hanno aperto le porte di una percezione diversa, e nel complesso la visione del mondo attraverso la cultura araba mi ha dato una prospettiva che cerco sempre di seguire. Infatti il mio intento è di sbozzare una situazione complessa e renderla con essenzialità e semplicità. Ma la semplicità non significa superficialità, anzi è il suo contrario, è il risultato di un processo di sintesi molto elaborato, che scava in profondità ed è fatto anche di responsabilità.

Siamo tutti reduci da un periodo di blocco e di obbligata riprogrammazione dei nostri impegni e progetti – la tua stessa mostra avrebbe dovuto essere inaugurata lo scorso marzo – come è stato tornare ad allestire una mostra con una data di apertura reale e non soltanto preventivata come siamo stati abituati a fare negli ultimi mesi? Come pensi reagirà il pubblico alla possibilità di tornare a visitare luoghi d’arte?
Devo dire che quando Studio la Città mi ha proposto l’apertura della mia mostra Aleph, subito dopo il lockdown, ho accolto con grande entusiasmo la proposta. Di fatto è una grande sfida, perché il virus ha radicalmente cambiato il modo di fruire le mostre, non si ha idea di quale possa essere la reazione del pubblico, ma credo che sia un periodo interessante e inaugurare una mostra in questo momento storico è un segnale positivo e di grande coraggio.
Aleph è la prima lettera dell’alfabeto fenicio, è simbolo di inizio e questo non può che essere davvero un nuovo inizio.

Dopo questa mostra hai in programma qualche progetto futuro a cui ti dedicherai?
Il periodo storico che stiamo vivendo ci permette di abbozzare qualche programma, senza avere la certezza che si realizzi. Nel frattempo, sto lavorando a qualche nuovo progetto di ricerca personale, il lockdown che abbiamo passato mi ha fatto tornare a riflettere molto sulle mie radici e le mie origini.
Invece, con la galleria milanese Podbielski Contemporary sto cominciando a stendere un programma di mostre e fiere per la stagione autunnale.

Massimiliano Gatti. Aleph
a cura di Maud Greppi
in collaborazione con Podbielski Contemporary
19 maggio – luglio 2020
Studio la Città
Lungadige Galtarossa, 21, Verona

In osservanza a tutte le disposizioni previste dal Governo è possibile accedere allo spazio muniti di guanti e mascherina nei seguenti orari: da martedì a giovedì 10.00-13.00 e 15.00-18.00
Ingresso libero.

Le visite guidate, della durata di 50 minuti, con prenotazione obbligatoria per un massimo di 8 persone, vengono effettuate nelle seguenti giornate:
venerdì 13.30-14.30 e 16.00-18.00 e sabato 11.00-13.00 e 16.00- 18.00
Info: +39 045597549
info@studiolacitta.it
www.studiolacitta.it

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artribune | Massimiliano Gatti: uno sguardo contemporaneo sugli scavi archeologici in Medio Oriente

1/7/2020

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Foto
POSTICIPATA A CAUSA DELLA PANDEMIA, HA APERTO LA MOSTRA PRESSO STUDIO LA CITTÀ DI VERONA DEDICATA AL FOTOGRAFO CHE DA ANNI SI DIVIDE TRA ITALIA E MEDIO ORIENTE, A FIANCO DI IMPORTANTI MISSIONI ARCHEOLOGICHE. LO SCOPO ULTIMO NON È LA SEMPLICE DOCUMENTAZIONE, MA LA COMPRENSIONE DELLE ROVINE IN CHIAVE CONTEMPORANEA.

Non si tratta di realizzare un reportage degli scavi archeologici, bensì di leggere le rovine del Medio Oriente attraverso uno sguardo profondamente inserito nella contemporaneità. Su questo si focalizza la ricerca di 
Massimiliano Gatti (Pavia, 1981), laureato prima in Farmacia e poi in Fotografia alla Bauer di Milano, lo stesso autore con cui la Galleria Podbielski di Milano aveva inaugurato il suo spazio. La sua carriera artistica è iniziata partendo al fianco di importanti missioni archeologiche: prima a Qatna, in Siria, dove ha operato dal 2008 al 2011, poi con il Progetto Archeologico Regionale Terra di Ninive (PARTeN), nel Kurdistan iracheno, finanziato dall’Università di Udine assieme a Fondazione CRUP. Quei luoghi, quei monumenti e quegli oggetti dal sapore antico e ancestrale vengono raccontati in una mostra personale a lui dedicata da Studio la Città di Verona: il titolo, Aleph, è la traslitterazione della prima lettera dell’alfabeto fenicio, adottata anche da quello ebraico. Si tratta di una lettera che simboleggia anche un numero e il concetto di inizio, dove tutto ha origine. La mostra rimarrà allestita fino al 31 luglio. Per accedervi, è necessario prenotare in anticipo la propria visita scrivendo una mail a gallery@studiolacitta.it.

MASSIMILIANO GATTI DA STUDIO LA CITTÀ DI VERONA
“Nell’alfabeto ebraico le lettere venivano impiegate anche come numeri, e ad Aleph corrispondeva il numero uno, ricoprendo così l’accezione simbolica di inizio, sorgente, luogo da cui si dipanano tutti i luoghi”, spiega la curatrice Maud Greppi a proposito del lavoro di Gatti, che da anni divide la sua vita professionale tra Italia e Medio Oriente. “Dal significato di questa parola viene così a definirsi l’incipit di un percorso espositivo improntato sull’esperienza maturata da Massimiliano Gatti in Medio Oriente, coniugando a una ricerca approfondita di stampo documentaristico un racconto intimo volto a tramandare una memoria nel tempo. In questo senso Aleph può essere inteso come punto di inizio, l’avvio di un percorso in costante trasformazione verso futuro ignoto, proprio come quello di queste terre, culla della nostra civiltà”.

LE OPERE IN MOSTRA A STUDIO LA CITTÀ DI VERONA
Le opere in mostra sono tratte da quattro serie. In Superficie (2014), realizzata in occasione della missione archeologica organizzata dall’Università di Udine in Iraq, nei pressi dell’antica città di Ninive, Aleppo è una foglia d’Alloro, incentrata sullo scorrere inesorabile del tempo e sulle sue conseguenze, Le Nuvole, gruppo di lavori dove Gatti accosta immagini del sito archeologico di Palmira, a coltri di nubi che ne documentano la devastazione per mano dell’ISIS e La Collezione, serie inedita esposta per la prima volta nella galleria veronese: una narrazione fortemente simbolica di una Siria che ormai non c’è più ma che rivive nella raccolta personale di francobolli dell’autore.

-Giulia Ronchi

Massimiliano Gatti, Aleph
fino al 31 luglio 2020
Studio la Città
Lungadige Galtarossa 21, Verona
http://studiolacitta.it/
Per prenotazioni: gallery@studiolacitta.it


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artribune | Fase 2 delle gallerie: Studio la Città di Verona riapre con le visite guidate a numero chiuso

18/5/2020

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VISITE GUIDATE CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA PER UN MASSIMO DI 8 PERSONE SOLO 2 GIORNI A SETTIMANA PER APPROFONDIRE LE OPERE IN MOSTRA, ANCHE CON ANEDDOTI. 

Come per i musei, anche per le gallerie il giorno 18 maggio – anzi il giorno dopo, essendo il 18 un lunedì e quindi dedicato alla pausa settimanale – rappresenterà la data di fine lockdown. Tra ingressi contingentati e uso di guanti e mascherine, c’è chi ha elaborato ulteriori strategie per permettere al pubblico di visitare in sicurezza le proprie mostre. È questo il caso di Studio la Città di Verona che, dopo aver reso accessibile in forma virtuale la collettiva sul vetro già allestita prima della chiusura per coronavirus attraverso un video, ora organizza alcune visite guidate per un numero massimo di otto persone.

STUDIO LA CITTÀ: COME FUNZIONERANNO LE VISITE
“La galleria riapre il 19 maggio, un martedì: abbiamo pensato che tutti noi siamo stati chiusi in casa e la voglia di uscire e vedere cose nuove è tanta, ma anche la paura è tanta perché siamo tutti consci che questo virus non ci lascerà cosi facilmente, quindi l’idea delle visite guidate a numero chiuso potrebbe essere un modo piacevole per vedere la mostra della quale abbiamo fatto un video inviato a tutti i nostri collezionisti e amici”, racconta ad Artribune la titolare della galleria Hélène de Franchis. “Vedere le opere dal vero è ben diverso dal vederle su uno schermo. La luce, la dimensione, toccano la sensibilità delle persone in modo diverso e spero che il pubblico avrà la curiosità di capire se quello che avevano visto nel video darà la stessa emozione dal vero. Mi ricordo che anni fa un grande collezionista al quale avevo proposto un’opera di Fontana di grandi dimensioni mandandogli una diapositiva mi rispose: ‘devo vederla, se al naturale mi dà la stessa emozione che mi ha dato in piccolo la diapositiva, la compro’”.

STUDIO LA CITTÀ: LE MOSTRE IN PROGRAMMA
Sono state, così, programmate delle visite guidate non solo della collettiva ma anche della personale del fotografo Massimiliano Gatti, per la durata di 50 minuti, con prenotazione obbligatoria per un massimo 8 persone, nelle giornate di venerdì (dalle 13.30 alle 14.30 e dalle 16 alle 18) e di sabato (dalle 11 alle 13 e dalle 16 alle 18). “La visita guidata è un modo per approfondire le opere, chi vuole essere libero di pensare e guardare in pace verrà in visita per conto proprio. Penso di fare io le visite guidate, anche perché vorrei che fosse una conversazione e un racconto e non una lezione. Nel caso avessimo molte richieste una mia assistente mi aiuterà. Sono opere e artisti che ho scelto uno a uno per diversi motivi quindi credo di poter raccontare anche aneddoti che forse non tutti sanno”, continua de Franchis. “Inoltre ci sarà anche la mostra di fotografie di Massimiliano Gatti che non avevamo potuto installare prima della chiusura della galleria per cui non è stata fatta vedere in video. Massimiliano è un giovane fotografo che abbiamo già esposto qualche tempo fa in una mostra collettiva, ‘Archeologia del Presente’ curata da Angela Madesani. Le sue foto sono di piccole dimensioni e spesso di siti archeologici, molti dei quali sono stati distrutti. Visite guidate intese come un primo passo verso una normalità che non sarà più la stessa di sempre. “Credo che questo periodo di solitudine cambierà il nostro approccio all’arte e quindi alla vita. Gli artisti e le gallerie hanno sofferto molto in questi due mesi non solo dal punto di vista finanziario, ma soprattutto per non aver potuto comunicare e condividere le loro idee con il pubblico, tramite il loro lavoro. Dal mio punto di vista non so se si può vivere senza bellezza e senza un pensiero che trascenda dalla vita di tutti i giorni, questa è una prerogativa solo dell’arte, intesa come musica, letteratura, danza, ecc.”, conclude la gallerista che annuncia: “nei prossimi giorni organizzeremo un’asta ‘Aiutiamo gli artisti’ per far sì che i collezionisti, i visitatori delle mostre, le fondazioni, i curatori, gli amici, possano contribuire ad aiutare il mondo dell’arte e continuare a usufruire della Bellezza che gli artisti ci propongono”.

Claudia Giraud


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aleph | studio la città, verona

12/5/2020

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ALEPH | STUDIO LA CITTÀ, VERONA

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Studio la Città dedica una personale alle recenti opere di Massimiliano Gatti, fotografo che da anni si muove tra l’Italia e il Medio Oriente al seguito di importanti missioni archeologiche. Il suo lavoro, lontano dal mero reportage documentaristico, unisce ai luoghi, monumenti e oggetti dal sapore antico e ancestrale, una riflessione assolutamente personale sulla storia contemporanea di quei territori.

Non a caso, il titolo della mostra, Aleph, è la traslitterazione della prima lettera dell’alfabeto fenicio ( ), nonché di quello ebraico, termine inoltre già utilizzato dallo scrittore argentino Jorge Luis Borges, nella sua omonima raccolta di racconti, per indicare «il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli».

Come spiega Maud Greppi, autrice del testo che accompagna la mostra, nell’alfabeto ebraico [...] le lettere venivano impiegate anche come numeri, e ad Aleph corrispondeva il numero uno, ricoprendo così l’accezione simbolica di inizio, sorgente, luogo da cui si dipanano tutti i luoghi. Dal significato di questa parola viene così a definirsi l’incipit di un percorso espositivo improntato sull’esperienza maturata da Massimiliano Gatti in Medio Oriente, coniugando a una ricerca approfondita di stampo documentaristico, un racconto intimo volto a tramandare una memoria nel tempo. In questo senso Aleph può essere inteso come punto di inizio, l’avvio di un percorso in costante trasformazione verso futuro ignoto, proprio come quello di queste terre, culla della nostra civiltà.

Sono proposte in mostra fotografie tratte da quattro differenti serie. In Superficie (2014), realizzata in occasione della missione archeologica organizzata dall’Università di Udine in Iraq, nei pressi dell’antica città di Ninive, Aleppo è una foglia d’Alloro, incentrata sullo scorrere inesorabile del tempo e sulle sue conseguenze, Le Nuvole, gruppo di lavori dove Gatti accosta immagini del sito archeologico di Palmira, a coltri di nubi che ne documentano la devastazione per mano dell’ISIS e La Collezione, serie inedita esposta per la prima volta in galleria: una narrazione fortemente simbolica di una Siria che ormai non c’è più ma che rivive nella raccolta personale di francobolli dell’autore.

Massimiliano Gatti si laurea in Farmacia e si diploma in Fotografia al Cfp R. Bauer di Milano, da diverso tempo porta avanti la sua ricerca artistica sul territorio medio orientale. Fotografo al seguito di missioni archeologiche in Medio Oriente (dal 2008 al 2011 a Qatna, Siria e dal 2012 nel progetto PARTeN nel Kurdistan iracheno) ha modo di vivere e approfondire la conoscenza di quelle terre ricche di Storia e di storie. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Dal 2013 fa parte come fotografo di scavo del Progetto Archeologico Regionale Terra di Ninive (PARTeN), una ricerca interdisciplinare condotta dall’Università di Udine nel Kurdistan iracheno. Vive e lavora tra l’Italia e il Medio Oriente. 

In collaborazione con Galleria Podbielski Contemporary, Milano

Si ringrazia Consorzio Tutela Valcalepio

Periodo espositivo:
a partire dal 19 maggio 2020
Sede:
Studio la Città, Lungadige Galtarossa 21, 37133 Verona
Orari:
martedì-sabato ore 9-13 e 14-18.
Visite guidate, della durata di 50 minuti, con prenotazione obbligatoria per un massimo 8 persone, nelle seguenti giornate:
Venerdì: dalle 13.30 alle 14.30 e dalle 16 alle 18
Sabato: dalle 11 alle 13 e dalle 16 alle 18
Per prenotazioni, contattare gallery@studiolacitta.it
Per ulteriori informazioni e immagini, scrivere a:
Marta Fraccarolo - Ufficio Stampa, Studio la Città | +39 045597549 | ufficiostampa@studiolacitta.it 

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#EMPATHETICARTE

23/3/2020

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campagna A Favore dell'Ospedale Sacco di Milano
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In questo momento di grande emergenza e di bisogno di solidarietà, Podbielski Contemporary e il nostro artista Massimiliano Gatti hanno deciso promuovere un’iniziativa a favore dell’Ospedale Sacco di Milano. A partire da oggi la galleria promuoverà una selezione di stampe dell’artista su carta Fine Art: l’importo ricavato sarà interamente devoluto all’ospedale. Attraverso questa iniziativa proponiamo di dare un piccolo contributo che possa sostenere l’eroico sforzo a cui sono attualmente sottoposti i nostri medici e le relative strutture sanitarie.
Le stampe selezionate testimoniano la lunga esperienza maturata da Massimiliano Gatti in Medio Oriente: un racconto intimo insieme ad una ricerca approfondita di stampo documentaristico, volti a tramandare la memoria nel tempo.
In particolare, gli scatti selezionati dalla serie Rovine, ritraggono i resti della Basilica di San Simeone Stilita, situata in Sira, a nord di Aleppo. La Basilica, conosciuta anche come il gioiello archeologico della Siria centrale, è il primo convento cristiano costruito in Siria, sorta nel luogo in cui visse e morì Simeone Stilita il Vecchio, il primo asceta cristiano.
La selezione si conclude con altre stampe provenienti da Limes, serie nata da una riflessione sull’atto del guardare. La finestra rappresenta una soglia, incornicia la vista, ed istituisce un punto di vista particolare sul mondo. Circoscrivendo un frammento di paesaggio in un’inquadratura forzata, gli conferiscono la profondità e l’importanza di una totalità all’interno del fotogramma. Queste stampe sono molto significative per la galleria, proprio perché da una finestra di un’abitazione abbandonata o di un luogo deturpato, l’orizzonte che si prospetta infonde un senso di apertura verso la speranza, verso un nuovo futuro.
Mai come adesso, nel bel mezzo di questa crisi, il ruolo dell’arte come vettore del sentire contemporaneo, diventa cruciale.  
Pertanto siamo felici di poterla diffondere in più possibile attraverso questa iniziativa benefica. 
Riportiamo qui di sotto i dettagli relativi alle singole stampe.
____

In a moment of great emergency and need for urgent solidarity, Podbielski Contemporary and our artist Massimiliano Gatti have decided to promote an initiative in support of the Sacco hospital, in Milan. 

Starting from today, the gallery will promote a selection of prints by the artist: the proceeds will be entirely donated to the hospital. Through this initiative, we aim to make a small contribution to support the heroic efforts to which our doctors and related healthcare structures are currently subjected.
The selected prints testify to the long experience gained by Massimiliano Gatti in the Middle East: an intimate story together with in-depth documentary research, for the sake of future memory.
In particular, the shots selected from the Rovine series portray the remains of the Basilica of San Simeone Stilita, located in Syria, north of Aleppo. It is also known as the archaeological jewel of central Syria and is the first Christian convent: built in the place where Simeon Stilita the Elder, the first Christian ascetic, lived and died.
The selection ends with prints from Limes, a series born from a reflection on the act of enquiring. The window represents a threshold, frames the view and establishes a particular perspective of the world. By circumscribing a fragment of landscape in a forced frame, they give it depth and importance. These prints are very significant for the gallery, precisely because from a window of an abandoned house or a scarred place, the horizon that appears promises a sense of openness towards hope and a new future.
Never as now, in the midst of this crisis, the crucial role of contemporary art is to be a carrier of empathy.
Therefore we are happy to be able to spread as much as possible this philanthropic initiative.
Below are the details of the individual prints. Looking forward to hearing from you!
​

ROVINE QALA'T SAMAAN 
Fine art inkjet print on Photorag Cotton Paper 
20x30 cm
Ed. Aperta


LIMES
Fine art inkjet print on Photorag Cotton Paper 
20x23 cm
​Ed. Aperta

€ 150 

Versamento:
Nome: Massimiliano Gatti
IBAN DE29 1001 1001 2622 8150 78
BIC NTSBDEB1XXX


Enquiries welcome at:
info@podbielskicontemporary.com 
info@massimilianogatti.com
​

In Collaboration with Cesura


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