![]() Presentazione del volume Le nuvole di Massimiliano Gatti Mercoledì 11 dicembre 2019 alle ore 19.00 alla Fondazione Sozzani, incontro con il fotografo Massimiliano Gatti, Maurizio Harari, docente di Etruscologia e Archeologia italica, e Angela Madesani, storica dell’arte e curatrice, in occasione della pubblicazione del libro fotografico Le nuvole, edito da La Grande Illusion. Le nuvole è un libro che nasce dal progetto fotografico di Massimiliano Gatti sulle rovine di Palmira, in Siria. Un reportage in due tempi, in cui l’autore accosta alle fotografie del sito archeologico di Palmira, le fotografie, realizzate a partire dal fermo immagine dei video di propaganda Isis che ne documentano la distruzione. Immagini tratte da dispositivi digitali dove «il pixel, da unità di misura, diviene strumento di lavoro, come se fosse un pennello per sfumare», scrive Angela Madesani nella presentazione. Nelle Nuvole, la commedia di Aristofane, le nubi sono eteree e impalpabili divinità che il drammaturgo greco associa alla leggerezza del pensiero delle nuove correnti filosofiche. Con la stessa attitudine Massimiliano Gatti accosta immagini di colonne imponenti e vaste strutture architettoniche alla leggerezza delle nuvole di polvere che si sollevano con la distruzione di un monumento. Il libro si legge sia all’occidentale sia all’araba, da sinistra a destra e viceversa, ed è tradotto in lingua araba. Massimiliano Gatti si laurea in Farmacia e si diploma in Fotografia al Cfp R. Bauer di Milano. Fotografo al seguito di missioni archeologiche in Medio Oriente (dal 2008 al 2011 a Qatna in Siria, e dal 2012 nel progetto PARTeN nel Kurdistan iracheno) ha modo di vivere e approfondire la conoscenza di terre leggendarie. Con un metodo documentaristico, la sua ricerca spazia dall’esplorazione del passato, dei resti e delle rovine degli antichi, fino all’osservazione della realtà contemporanea, con una propria riflessione personale. Vive e lavora tra l’Italia e il Medio Oriente. Maurizio Harari dirige il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Pavia, dove insegna Etruscologia e Archeologia italica. Ha insegnato al London University College (1988-91), a Ferrara (1992-2001) e condotto campagne di scavo in siti etruschi dell’Alto Adriatico, nell’entroterra di Adria e a Verucchio. Fra le sue numerose pubblicazioni Gli Etruschi del Po (Cardano, 2000), Icone del mondo antico. Un seminario di storia delle immagini (L’Erma di Bretschneider, 2009) e Andare per i luoghi di Ulisse (il Mulino, 2019). Angela Madesani Storica dell’arte e curatrice indipendente, è autrice de Le icone fluttuanti. Storia del cinema d’artista e della videoarte in Italia di Storia della fotografia (Bruno Mondadori, 2005 e 2008) de Le intelligenze dell’arte (Nomos edizioni, 2016). Suo è il saggio introduttivo del volume Artist’s Invitations 1965- 1985 (Danilo Montanari Editore, 2019). Ha curato numerose mostre presso istituzioni italiane e straniere. Ha scritto su Gabriele Basilico, Giuseppe Cavalli, Luigi Ghirri, Francesco Jodice, Anne e Patrick Poirier, Elisabeth Scherffig, Franco Vaccari, Giulio Paolini. Responsabile della sezione fotografica di Artribune. Insegna all’Accademia di Brera e all’Istituto Europeo del Design di Milano. Le nuvole fotografie di Massimiliano Gatti, presentazione di Angela Madesani Copertina e grafica di Andrea Geremia 16 x 19,5 cm 48 pagine brossura con doppia sovracoperta testi in italiano e in arabo Edizione speciale con fotografia 210,00 € Brossura con doppia sovracoperta 21,00 € La Grande Illusion, 2019 ![]() LA FORMA DELLE NUVOLE Olmo Amato, Elizabeth Aro, Massimiliano Gatti, Caterina Giansiracusa, Luca Grimaldi, Alessandra Maio a cura di Irene Finiguerra 05/12/2019 - 19/01/2020 Inaugurazione giovedì 5 dicembre 2019 dalle ore 18 alle ore 21 Orari: Venerdì, sabato e domenica dalle 15 alle 19 oppure su appuntamento Ingresso libero Quale è la forma delle nuvole? C’è chi intravede volti, chi forme di animali, in realtà le nuvole, studiate nell’O ocento da Luke Howard, sono da raggruppare solo in tre categorie: semplici, intermedie e complesse. Eppure le nuvole con la loro leggerezza sono sempre state un grande stimolo per la fantasia sia scientifica che poetica. I nostri sguardi si alzano verso il cielo e come le nuvole mutiamo, ci trasformiamo e sogniamo ad occhi ape i. Cirri, nembi, cumuli che “vanno e vengono/ogni tanto si fermano” (De Andrè) non sono altro che acqua in sospensione, masse in trasformazione che disobbediscono alla gravità. Guardiamo i lavori dei sei a isti in mostra con lo stesso stupore dei bambini che si perdono nel gioco delle nuvole e sapremo così cogliere la bellezza sollevandoci dalla nostra quotidianità. ![]()
![]() Le giurie hanno decretato i finalisti della settima edizione del Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee che esporranno nella mostra collettiva a cura di Carlo Sala nella suggestiva cornice di Villa Brandolini a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso. Tra le numerose opere candidate sono risultate finaliste della sezione “Arte emergente” dedicata agli under 35 quelle di: Pietro Ballero, Martina Camani, Amos Cappuccio, Vincent Ceraudo, Elena Ceretti Stein, Daniele Costa, Lucia Cristiani, Barbara De Vivi, Beatrice Favaretto, Francis Offman, Laura Guastini, Johanna Kotlaris, Davide La Montagna, Marie Lelouche, Mattia Macchieraldo e Flavio Palasciano, Nicolò Masiero Sgrinzatto, Alessio Mazzaro, Martina Melilli, Stefan Milosavljevic, Carmelo Nicotra, Giovanna Pesce, Leonardo Petrucci, Francesco Pozzato, Gabriele Rendina Cattani, Tommaso Sacconi, Giorgia Severi, Davide Sgambaro, Eva Chiara Trevisan, Jacopo Valentini e Daniele Zoico I finalisti della sezione “Fotografia contemporanea” invece sono: Mattia Balsamini, Silvia Bigi, Jaspal Birdi, Romane Bourgeois, Margaux Bricler, Marco Cadioli, Alessandra Carosi, Pietro Catarinella, Melany Cibrario Ruscat, Claudia Corrent, Annaclara Di Biase, Die Furlani-Gobbi Sammlung, Alessandra Draghi, Irene Fenara, Matteo Ferrari, Massimiliano Gatti, Matteo Girola, Giulia Iacolutti, Victor Leguy, Vaste Programme, Giaime Meloni, Mona Mohagheghi, Raffaele Morabito, Vittorio Mortarotti, Giulia Parlato, Alessia Rollo, Filippo Romano, Marco Schiavone, Marco Tagliafico e Angelo Vignali. La composizione delle Giurie del Premio ha potuto annoverare autorevoli critici e curatori: per la sezione “Arte emergente” Lorenzo Balbi, Lucrezia Calabrò Visconti, Gabriele Lorenzoni e Angel Moya Garcia; per la sezione “Fotografia contemporanea” Matteo Balduzzi, Francesca Lazzarini, Giangavino Pazzola e Mauro Zanchi, con la partecipazione ad entrambe di Carlo Sala, curatore del Premio. Il 23 novembre, contestualmente al vernissage della mostra, avverrà la premiazione in cui saranno proclamati i vincitori assoluti delle due sezioni che riceveranno un premio acquisto di 5.000 euro l’uno e vedranno le loro opere entrare nella collezione della Fondazione Fabbri; saranno annunciate inoltre le menzioni speciali che le giurie hanno voluto attribuire ad alcuni lavori particolarmente significativi ed emblematici della contemporaneità ed il Premio speciale Lago Film Fest. La Fondazione Fabbri continua così il suo impegno nella valorizzazione dei linguaggi del contemporaneo creando una mappatura degli autori che si distinguono per una ricerca attinente alle istanze del presente; Premio Francesco Fabbri vuole compiere un'opera di scouting delle varie tendenze che compongono il mosaico dell’arte visiva attuale evidenziandone i caratteri maggiormente innovativi. Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee a cura di Carlo Sala Villa Brandolini, Solighetto di Pieve di Soligo (Treviso), Piazza Libertà n°7 Inaugurazione e premiazione: sabato 23 novembre, ore 17.30. 24 novembre – 15 dicembre 2019. Il Premio è promosso dalla Fondazione Francesco Fabbri in collaborazione con il Comune di Pieve di Soligo e il sostegno della Regione Veneto. È inserito nel palinsesto regionale RetEventi Cultura Veneto 2019 per la Provincia di Treviso. Orari di apertura: venerdì e sabato 16.00-19.00; domenica 10.30-12.30 e 16.00-19.00. Ingresso libero. Per Info: fondazionefrancescofabbri.it; segreteria@fondazionefrancescofabbri.it ![]() Artissima 2019 | Podbielski Contemporary Main section | Hall Black | Stand 6 Oval Lingotto, Torino 1 – 3 November, 2019 Preview (by invitation only): 31 October Main section Podbielski Contemporary is proud to participate at Artissima 2019, with a project focused on Middle East - Grey Zone - featuring Massimiliano Gatti, Shadi Ghadirian, Loredana Nemes, Ohad Matalon, and Yuval Yairi.
Yuval yairithomas jorion![]() PREMIO RICCARDO PRINA un racconto fotografico Ecco i finalisti Daniele Barone Sumirago (VA), Francesco Bianchini Legnano (MI), Alessandra Carosi San Benedetto del Tronto (AP), Anna Castaldi Certaldo (FI), Gianluigi Cerioli Novara, Maria Cristina De Paola Uggiano La Chiesa (LE), Massimiliano Gatti Pavia, Ilaria Lagioia Triggiano (BA), Margherita Mercatali Faenza (RA) Giorgio Nuzzo Marittima (LE), Luana Rigolli Milano, Mauro Serra Ortona (CH), Federica Tiziani Morazzone (VA), Nicholas Viviani Concorezzo (MB) Mostra delle opere finaliste sabato 5 e domenica 6 ottobre in Triennale a Milano orari 10.30 - 20.30. Sabato 5 ottobre Salone d’onore, Triennale, viale Alemagna 6, Milano ore 12.00 apertura mostra “Un racconto fotografico” Premio Riccardo Prina con le opere dei finalisti Mostra visitabile sabato 5 e domenica 6 ottobre orari 10.30 - 20.30 ore 17.00 Letizia Battaglia Fotografia come scelta di vita dialoga con Matteo Balduzzi e Roberto Timperi Un’intellettuale controcorrente, fotografa e fotoreporter, che ha raccontato nei suoi scatti vittime ed emarginati, donne e bambini, strade e quartieri, feste e lutti della sua Palermo. Domenica 13 ottobre Galleria Ghiggini, via Albuzzi 17, Varese ore 16.30 Premiazione Premio Riccardo Prina “un racconto fotografico” 2019 Inaugurazione della mostra delle opere finaliste con premiazione del Vincitore e di una Menzione Claudio De Albertis, designati dalla Giuria Tecnica e della Menzione degli Amici di Riccardo Prina. Mostra visitabile sino al 27 ottobre. Orari 10-12.30 / 16.00-19.00. Lunedì chiuso. Il Premio Riccardo Prina è ideato dagli Amici di Piero Chiara e da Mauro Gervasini; è diretto da Bambi Lazzati, con la collaborazione della famiglia Prina e l’Associazione Amici di Riccardo Prina e sostenuto da diversi Enti. Concorso internazionale alla IX edizione, riservato a fotografi professionisti e non, dai 18 ai 40 anni, chiamati a produrre una sequenza fotografica che avesse in sé un’idea di narrazione. La Giuria presieduta da Mauro Gervasini critico cinematografico e composta da Matteo Balduzzi curatore Museo Fotografia Contemporanea Milano, Marina Ballo Charmet fotografa e video artista, Rudi Bianchi collezionista fotografico e fotografo, Riccardo Blumer architetto e designer, Edoardo Bonaspetti curatore, Francesca Damiani Prina, Carla De Albertis imprenditrice e socia Amici della Triennale, Marco Introini architetto e fotografo, Bambi Lazzati direttrice Premio Chiara, Denise Sardo curatrice, Elisabetta Sgarbi regista, fondatrice de La Nave di Teseo e direttrice de La Milanesiana, Emma Zanella direttrice Museo MAGA Gallarate, ha selezionato, tra le 76 opere pervenute alla segreteria del Premio, 14 finalisti. Premio fotografico dedicato a Riccardo Prina (1969 – 2010) giornalista, critico d’arte, estimatore e studioso dell’arte fotografica ![]() SOTTOPELLE VERMIGLIO (TN) | FORTE STRINO 22 GIUGNO – 15 SETTEMBRE 2019 Intervista a SERENA FILIPPINI di Alice Vangelisti Con Sottopelle. Storie di memorie e persistenze la curatrice Serena Filippini mette in scena un dialogo intenso e profondo tra l’arte contemporanea e gli spazi espostivi. Il progetto allestitivo prende vita grazie all’impulso del tema che accomuna le tre esposizioni, attraversandole nel tempo e nello spazio. Il fil rouge dell’intera esposizione è, infatti, la memoria, concetto effimero e astratto che prende forma tangibile nelle sue diverse sfaccettature attraverso le opere di Andrea Cereda, Diego Soldà, Roman Opalka, Nicoló Tomaini e Massimiliano Gatti, le quali si ritagliano il proprio spazio all’interno di luoghi ricchi di storia e passato. Intervistiamo la curatrice sul progetto espositivo di questa grande narrazione in tre atti, di cui il terzo e ultimo sarà visitabile presso il Forte Strino a Vermiglio (TN). Sottopelle. Storie di memorie e persistenze è un progetto espositivo che hai co-curato insieme a Matteo Galbiati, concentrandoti sul tema della memoria. Qual è la genesi di quello che potremmo definire una sorta di trittico allestitivo? Tutto nasce circa un anno fa dall’idea di lavorare sulla memoria attraverso le opere di artisti contemporanei. Fin da quando ero bambina, ho avuto un grande interesse per questo tema e l’ho sempre sentito come una parte integrante del mio essere. In particolar modo, mi ha affascinato fin da subito l’idea di andare ad analizzare l’aspetto più sociologico della memoria. Mi sono concentrata su quella che il sociologo francese Maurice Halbwachs definisce memoria collettiva. Si tratta di una sorta di grande magma di ricordi, memorie ed esperienze vissute che si incrociano fino a costituire il retroterra culturale e storico di intere comunità che, seppure formate da singoli individui, sono caratterizzate da elementi, valori e simboli comuni che derivano proprio dal loro vivere nel tempo e dalle loro esperienze. Parallelamente alla definizione del tema, ho pensato di strutturare il progetto espositivo in tre sedi e regioni diverse, così da consentire un peculiare flusso di memorie che, tramite le opere d’arte in essi esposte, si spostasse da un luogo all’altro e si adattasse al “contenitore”, un po’ come succede alle persone con i loro ricordi: esse si spostano, cambiano, si trasformano, ma i ricordi che fanno parte della loro personale memoria rimangono custoditi in loro per sempre, ovunque vadano. Trattandosi di un progetto di tesi specialistica, lo scorso ottobre ho quindi proposto la mia idea a Matteo Galbiati che è diventato il relatore della tesi, oltre che il co-curatore di questo progetto. Un progetto espositivo che si struttura quindi in 3 atti. Come si svolge il percorso allestitivo e perché ti sei concentrata in particolare su questa suddivisione per atti, ognuno dei quali corrisponde a una diversa mostra d’arte contemporanea, con però una continuità tematica che si ripercorre in tutti gli allestimenti? La suddivisione è ispirata alle opere teatrali che, nella maggior parte dei casi, si svolgono in atti, come se fossero diversi episodi della stessa storia. In questo caso, fin da subito mi ha attratto l’idea di creare una mostra in tre atti, in cui ciascuno di questi fosse una sorta di capitolo diverso di un unico grande libro: la storia che viene raccontata è una sola, ma divisa nelle diverse sfaccettature che la riguardano. Il progetto espositivo è partito dall’Atto I – con gli artisti Andrea Cereda e Diego Soldà – concentrandosi sull’origine della memoria, passando poi attraverso l’Atto II – con Roman Opalka e Nicolò Tomaini – dedicato ad una riflessione sul tempo e sugli effetti che ha sull’uomo in base alle diverse epoche storiche, e si è concluso infine con l’Atto III – con protagoniste le fotografie di Massimiliano Gatti – che si interroga sull’epilogo della memoria. Si può quindi parlare di Sottopelle. Storie di memorie e persistenze come di una narrazione a tutti gli effetti, ma, anziché servirsi delle parole per trasmettere concetti, si serve di opere d’arte contemporanea. Tre atti, tre mostre e tre luoghi diversi. Come è nata questa idea di lavorare su tre spazi così diversi tra di loro, per di più in tre regioni differenti? Perché la scelta è caduta proprio su questi spazi? L’idea di coinvolgere in questo progetto tre siti storici, intendendo con questa definizione dei luoghi vissuti e ricchi di storia che riaffiora dal passato, è facilmente comprensibile nell’ottica della memoria e del suo forte legame con la storia passata. Si è creata così una rete tra i diversi spazi, che si sono trovati a collaborare e a interagire, accomunati dalla riflessione sulla memoria. La scelta è quindi caduta su tre luoghi ben differenti tra loro per storia, funzione, aspetto e conformazione, collocati, tra l’altro, in tre regioni vicine ma diverse: Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige. Ho voluto, inoltre, seguire una cronologia nello svolgimento dei tre atti: l’Atto I è stato allestito nel Castello Visconteo di Pandino (CR), un maniero trecentesco; l’Atto II è stato “messo in scena” nella Villa Caldogno a Caldogno (VI), una villa palladiana del ‘500, oggi patrimonio dell’UNESCO; e, infine, con l’Atto III, si è fatto un salto nel tempo arrivando al 1860, anno di costruzione del Forte Strino a Vermiglio (TN), una fortezza austro-ungarica utilizzata durante gli anni della Prima Guerra Mondiale. Queste sedi, valutate insieme ad altre, mi hanno affascinata per la loro diversità, per la storia che ciascuna porta con sé, e perché, nel momento in cui le ho scelte, ottenendo collaborazione e disponibilità dalle loro amministrazioni comunali, mi sono fin da subito prefigurata come gli artisti parte del progetto avrebbero potuto dialogare con gli spazi attraverso le loro opere. Un castello, una villa e un forte sono diventati così gli spazi espositivi di questo progetto. Come si sono relazionate le diverse opere con gli ambienti che le ospitavano? Qual è l’aspetto più interessante nel lavorare con l’arte contemporanea al di fuori dei luoghi convenzionali a essa deputati? Allestire opere d’arte contemporanea all’interno di spazi non abitualmente adibiti ad ospitarla, e quindi al di fuori di sale candide ed intonse, desta ormai da qualche anno il mio interesse. Prima di tutto apprezzo il dialogo – se curato e studiato in tutti i suoi dettagli – che viene a crearsi tra lo spazio, magari antico e ricco di storia, e l’attualità delle opere esposte. Inoltre, nutro profonda stima nei confronti di chi tenta di mettere in atto questo intreccio, facendo fronte ad una serie di difficoltà, prevalentemente legate alla conformazione degli spazi, che vanno fronteggiate in fase di allestimento. Nel momento in cui ho deciso di organizzare il progetto espositivo all’interno di luoghi per così dire “difficili”, ero consapevole delle difficoltà a cui sarei andata incontro nel momento dell’allestimento. Nello stesso tempo, però, il dialogo tra ieri ed oggi e il fascino di queste sedi hanno consentito, nonostante le oggettive criticità allestitive, di ottenere dei buoni risultati senza doversi mai arrendere o adattare passivamente al luogo. Questo aspetto per me è stato fondamentale, perché non avrei mai permesso che la sede, seppure ingombrante per la sua imponenza e la sua storia, fosse un limite per la valorizzazione delle opere, né tantomeno che le opere dovessero semplicemente appoggiarsi negli spazi, come se fossero soprammobili, perché in questo modo sarebbero assolutamente venuti meno lo scambio e il dialogo alla pari tra le opere e gli spazi espositivi. Ammetto che non è per nulla facile, ma si può dare vita a dialoghi e riflessioni davvero inaspettati grazie a progetti allestitivi mirati e attraverso il coinvolgimento di artisti che non intendono il loro lavoro esclusivamente confinato all’interno di white cube ma che, al contrario, sono aperti a sperimentare e non temono il confronto con spazi “ingombranti”. Giovani artisti, ma anche interpreti già affermati sul panorama artistico contemporaneo. Tra di loro, sia concettualmente che visivamente, sono molto diversi, però tutti ragionano sul tema di memoria. Una memoria storica e una memoria collettiva che diventano così anche specchio di identità artistiche molto differenti. Mi parli un po’ degli artisti che hai scelto e di come ciascuno di loro interpreta questo concetto attorno al quale ruota l’intero progetto? La scelta degli artisti è avvenuta parallelamente alla definizione della storia da raccontare. La suddivisione in atti, come già accennavo, ha consentito di creare una vera e propria narrazione, sviluppata per “episodi” e dedicata alle differenti sfaccettature della memoria. Ho quindi deciso di inserire nell’Atto I Andrea Cereda e Diego Soldà che, seppure in modalità completamente differenti, hanno ragionato sulle origini della memoria. Cereda, ricomponendo lamiere logore e consumate dal tempo, dimostra di plasmare un materiale che già per sua stessa essenza è testimone di memoria, diventando concettualmente mescolanza di vecchie memorie derivanti da storie ed esperienze distanti tra loro che danno vita a nuovi vissuti. Soldà, invece, partendo dal nulla, è lui stesso a creare nuove memorie attraverso la stratificazione del colore, che si sedimenta metaforicamente come le memorie stesse. Con l’Atto II, invece, ho voluto rivolgere l’attenzione sul tempo, elemento imprescindibile che da sempre agisce sulla memoria e sulle nostre esistenze. In questo modo, il dialogo tra Roman Opalka e Nicolò Tomaini ha consentito di riflettere su come l’uomo attribuisca un diverso valore al tempo a seconda dell’epoca storica in cui vive. Il lavoro di Roman Opalka, presente in mostra con tre delle sue fotografie facenti parte dell’opera Opalka 1965/1-∞, fornisce la dimostrazione tangibile del tempo che passa, che trasforma e che, tracciando linee e solchi sul viso, modifica l’aspetto esteriore, diventando restituzione visiva del cambiamento interiore e della continua metamorfosi ai quali la vita e le esperienze sottopongono l’uomo costantemente. Quello analizzato da Opalka è un tempo paziente e lento, un tempo di vita, che si fa artefice della maturazione del ricordo e della sua successiva ricomposizione in memoria. Ben diversa è la riflessione di Tomaini che, utilizzando le icone tipiche del mondo della comunicazione digitale, attraverso la pittura e la scultura, presenta una serie di brillanti provocazioni sul rapidissimo consumo di immagini, informazioni e di relazioni e sulla superficialità con la quale scorriamo da un’informazione all’altra tramite i dispositivi di cui facciamo quotidianamente uso, portando a una totale assuefazione a essi e a una conseguente e incombente minaccia per la salvaguardia della memoria collettiva in un tempo sempre più frenetico e disattento. Infine, con l’Atto III, si giunge all’epilogo della memoria, riflettendo su quel che resta di essa prima che venga definitivamente negata dall’oblio. Le fotografie di Massimiliano Gatti, infatti, focalizzano l’attenzione su alcuni simboli culturali depositari di storie e di memorie che nel tempo hanno acquisito lo straordinario potere di formare l’identità della società di cui sono emblema, e che proprio per questa ragione sono stati sottoposti alla loro totale eliminazione, poiché, proprio in quanto simboli identitari di un popolo, sono temuti. Si parla nella fattispecie dell’azione di Isis su sempre più numerosi monumenti millenari del Medio Oriente, e in particolar modo della devastazione messa in atto nella città siriana Palmira. Gatti invita così a riflettere sul fatto che la memoria non sia una realtà aliena da noi, né vada percepita come legata ad un passato remoto, ma al contrario, come ad una entità i cui influssi agiscono ancora attivamente sul nostro presente. Come riesce infine l’arte contemporanea a farsi testimonianza tangibile di un concetto così astratto e fuggevole come quello della memoria? Questa è una delle domande che io stessa mi sono posta nel momento in cui ho ideato l’intero progetto, per poi accorgermi che in realtà non si tratta di un concetto né fuggevole né astratto. Siamo noi nel tempo – e prima di noi le generazioni che ci hanno preceduto – a causa di una presenza sempre più insistente della retorica su questo tema a cui lentamente siamo stati abituati, ad averlo fatto diventare tale, o meglio, ad averlo inteso sempre più spesso come tale, fino a convincerci del fatto che memoria sia sinonimo di qualcosa di fumoso e volatile. Riflettendo meglio, sulla base anche degli studi di sociologia su questo tema, ci si rende conto che la memoria è parte integrante di noi, del nostro vissuto ed emerge in qualsiasi momento della nostra vita, da come viviamo le esperienze, a come ci rapportiamo con gli altri, al valore che diamo ai simboli e in molte altre situazioni che affrontiamo quotidianamente. Ecco che allora, preso atto di tutti questi aspetti sulla memoria che talvolta dimentichiamo, l’arte contemporanea può farsi un’ottima interprete di questo tema che è molto più attuale di quello che pensiamo. Inoltre sono convinta che l’arte contemporanea sia oggi uno dei pochi linguaggi che ci sono rimasti per farci riflettere e fornirci degli spunti nuovi e profondi sull’epoca che stiamo vivendo e sulle componenti umane che ci caratterizzano. Quindi perché non si dovrebbe servirsi dell’arte contemporanea per riflettere su un tema come la memoria, che dovremmo riscoprire nella sua essenza più autentica? Sottopelle. Storie di memorie e persistenze
Atto III – Massimiliano Gatti a cura di Serena Filippini e Matteo Galbiati con il patrocinio di Comune di Pandino, Comune di Caldogno, Comune di Vermiglio, Hdemia di Belle Arti SantaGiulia di Brescia in collaborazione con Castel Negrino Arte, Aicurzio (MB); Galleria Melesi, Lecco con il contributo di Associazione Culturale Artemisia, Italfond con il supporto di Comune di Vermiglio, Pro Loco Caldogno catalogo bilingue italiano-inglese Vanillaedizioni 22 giugno – 15 settembre 2019 Forte Strino SS42 74, Vermiglio (TN) Orari: tutti giorni sino all’8 settembre 10.00-12.30 e 14.00-18.30; dal 17 luglio al 28 agosto tutti mercoledì sera 21.00-22.30; dal 9 al 15 settembre 14.00-18.00 ![]() Can you briefly introduce the project? Le nuvole, (which is the Italian translation for ‘clouds’) is a photographic project focusing on the relationship between historical memory and the spread of information on social media. I took images of the ancient city of Palmyra and some ISIS propaganda video frames which document the destruction of several monuments during their attack in 2015. The ancient structures of Palmyra are paired with images of what seem to be simple clouds - but actually they represent smoke-columns that rise after the explosion of archaeological sites. Le nuvole draws inspiration from a comedy of the same name by Aristophanes, in which the Clouds are ethereal and impalpable divinities that the Greek playwright associates with the lightness of metaphysical thoughts, hovering in the realm of possibilities. With the same attitude, I have matched pictures of imposing architectural structures to the lightness of the clouds of dust. With our devices we can access, at any time and in any location, videos that ISIS publish on YouTube. These are my Nuvole, a form of dangerous, violent and nihilistic thought, but also, an easy way to access ideas that deny the history, memory, the past, and the roots of our culture all over. Palmyra was popular in the news when ISIS destroyed the city’s most important monuments, but it wasn’t long before interest subsided; and none of the newspapers reported on it in the aftermath. My work reflects on that fact and, more precisely, on the loss of symbols of our entire culture and our perception of it. Le nuvole speaks to the potential risks brought about by the way we access and consume film and images today. As an image-maker yourself, can artistic responses can help to challenge dominant or dangerous narratives? Image is a powerful weapon. We should be able to decode all images and informations we face every day. The great risk we live with now is connected with the great power of spreading information on social media. We're used to believing what we read and what we see, and we don't always ask where information comes from. We can’t personally check the veracity of every news item, and that's why in some hands fake news can become a dangerous medium which can influence the perspective of masses. ISIS knows this alchemy deeply, and have used it to call foreign fighters from all over the world, and it worked! An artistic glimpse is a critical perspective on all these mechanics and it should help us to reflect on what's happening around us; that's why in Le nuvole I used image frames from propaganda videos published by ISIS on YouTube. Your works have been exhibited in European and American galleries. Did you have a Western audience in mind when you created this project? When I start a project I never think of an audience. I try to follow research that interests me, then the audience, if it comes, comes later. Edward Said wrote an important essay about the perception Western culture has on the East, which he called “Orientalism” – a kind of paternalistic attitude, based on a judgment of superiority. This point of view affects my work more than the audience. Above all, when I work in the Middle East, I always try to have the greatest respect possible on issues that I have to face. READ THE FULL ARTICLE |
AutoreMassimiliano Gatti Archivi
Dicembre 2019
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