I ntervista a MASSIMILIANO GATTI di Serena Filippini
Martedì 19 maggio la galleria veronese Studio la Città ha riaperto le sue porte per presentare Aleph, mostra personale di Massimiliano Gatti (Pavia, 1981), fotografo da anni impegnato tra l’Italia e il Medio Oriente al seguito di importanti missioni archeologiche.
La mostra, curata da Maud Greppi, vede protagoniste alcune serie fotografiche realizzate negli ultimi anni come In superficie (2014), Aleppo è una foglia d’alloro (2018), Le nuvole (2019) e La collezione (2020), quest’ultima presentata da Gatti per la prima volta.
In occasione dell’apertura l’abbiamo incontrato per approfondire insieme a lui le direzioni intraprese per il progetto espositivo e la sua ricerca artistica.
Com’è nata la tua mostra personale Aleph? Il titolo è abbastanza emblematico e ricco di significati; ce ne parli?
L’idea è nata quando la gallerista di Studio la Città ed io abbiamo iniziato a pensare a un’idea di mostra andando a scegliere i progetti forse più simbolici e meno descrittivi.
In seguito, con l’aiuto di Maud Greppi, la curatrice, abbiamo definito il filo conduttore che ruota intorno al simbolo dell’Aleph.
Aleph è la prima lettera dell’alfabeto fenicio e corrisponde al numero uno, con l’accezione simbolica di inizio, sorgente, luogo da cui si dipanano tutti i luoghi. Mi piace ricordare che dalla mezzaluna fertile si sono sviluppate le nostre culture e religioni, quindi pensare al Medio Oriente come a una terra primigenia che ha dato origine alla nostra civiltà, come dice Borges nel suo racconto: l’Aleph è «il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli».
Per cui la mostra è una sorta di ricerca dell’Aleph che, come dice Maud Greppi, nel suo testo introduttivo “si delinea come immagine di un infinito nascosto senza presunzione in qualunque anfratto polveroso e abbandonato della quotidianità”.
Questa per te è la prima mostra personale presso Studio la Città; avevi già collaborato prima per altri progetti insieme alla galleria veronese?
Avevo partecipato a una mostra negli spazi di Studio la Città nel 2017, intitolata Archeologie del presente, pensata da Angela Madesani. Si trattava di una mostra con opere di grandi artisti sia arabi che occidentali tra cui Lynn Davis, Gabriele Basilico e altri ancora, che scandagliava attraverso una prospettiva artistica le importanti questioni legate al Vicino Oriente come il colonialismo, l’immigrazione, le recenti guerre e le ferite al patrimonio storico e archeologico.
All’interno della mostra sono esposte quattro serie fotografiche realizzate dal 2014 ad oggi, di cui una inedita intitolata La collezione derivata da una raccolta personale di francobolli siriani; qual è la storia di questa collezione?
Mi sono trovato a riguardare una serie di francobolli siriani e ho cominciato a catalogarli in base a quello che vi era rappresentato. Così facendo mi sono accorto che ne stava nascendo un racconto. Il francobollo è un oggetto molto poetico, nella sua fragilità conserva un forte potere evocativo. Ne risulta una narrazione fortemente simbolica, un accumulo di immagini che delineano il volto di una Siria lontana, immaginata e presente, forse solo ormai, nei miei ricordi e, come la memoria, i francobolli raccontano un paesaggio frammentato e fragile. Per cui mi sembrava perfetto inserire questo nuovo progetto artistico all’interno della mostra Aleph che racconta in maniera molto metaforica il Medio Oriente.
Avendo lavorato per molti anni in Medio Oriente, molte delle tue opere – tra cui alcune esposte in mostra – sono nate ispirandoti a luoghi vissuti e oggetti visti stando al seguito di missioni archeologiche; come avviene il processo creativo per la realizzazione di queste opere? Ci sono differenze rispetto all’iter creativo delle opere realizzate in Italia?
È difficile razionalizzare i meccanismi di un processo creativo, posso dire che il mio approccio è sempre lo stesso: ci sono dinamiche storiche, culturali e sociali che mi interessano e su cui focalizzo la mia attenzione. Alcuni dei miei progetti artistici tra cui Aleppo è una foglia d’alloro o la stessa Collezione sono stati realizzati in Italia sebbene abbiano a che fare con la realtà medio orientale.
Le esperienze in Siria e Iraq mi hanno aperto le porte di una percezione diversa, e nel complesso la visione del mondo attraverso la cultura araba mi ha dato una prospettiva che cerco sempre di seguire. Infatti il mio intento è di sbozzare una situazione complessa e renderla con essenzialità e semplicità. Ma la semplicità non significa superficialità, anzi è il suo contrario, è il risultato di un processo di sintesi molto elaborato, che scava in profondità ed è fatto anche di responsabilità.
Siamo tutti reduci da un periodo di blocco e di obbligata riprogrammazione dei nostri impegni e progetti – la tua stessa mostra avrebbe dovuto essere inaugurata lo scorso marzo – come è stato tornare ad allestire una mostra con una data di apertura reale e non soltanto preventivata come siamo stati abituati a fare negli ultimi mesi? Come pensi reagirà il pubblico alla possibilità di tornare a visitare luoghi d’arte?
Devo dire che quando Studio la Città mi ha proposto l’apertura della mia mostra Aleph, subito dopo il lockdown, ho accolto con grande entusiasmo la proposta. Di fatto è una grande sfida, perché il virus ha radicalmente cambiato il modo di fruire le mostre, non si ha idea di quale possa essere la reazione del pubblico, ma credo che sia un periodo interessante e inaugurare una mostra in questo momento storico è un segnale positivo e di grande coraggio.
Aleph è la prima lettera dell’alfabeto fenicio, è simbolo di inizio e questo non può che essere davvero un nuovo inizio.
Dopo questa mostra hai in programma qualche progetto futuro a cui ti dedicherai?
Il periodo storico che stiamo vivendo ci permette di abbozzare qualche programma, senza avere la certezza che si realizzi. Nel frattempo, sto lavorando a qualche nuovo progetto di ricerca personale, il lockdown che abbiamo passato mi ha fatto tornare a riflettere molto sulle mie radici e le mie origini.
Invece, con la galleria milanese Podbielski Contemporary sto cominciando a stendere un programma di mostre e fiere per la stagione autunnale.
Massimiliano Gatti. Aleph
a cura di Maud Greppi
in collaborazione con Podbielski Contemporary
19 maggio – luglio 2020
Studio la Città
Lungadige Galtarossa, 21, Verona
In osservanza a tutte le disposizioni previste dal Governo è possibile accedere allo spazio muniti di guanti e mascherina nei seguenti orari: da martedì a giovedì 10.00-13.00 e 15.00-18.00
Ingresso libero.
Le visite guidate, della durata di 50 minuti, con prenotazione obbligatoria per un massimo di 8 persone, vengono effettuate nelle seguenti giornate:
venerdì 13.30-14.30 e 16.00-18.00 e sabato 11.00-13.00 e 16.00- 18.00
Info: +39 045597549
[email protected]
www.studiolacitta.it