Rovine Plamira, fine art giclée inkjet print on Photo Rag cotton paper, 60x90 cm, 2009
Rovine Palmira
La vista delle rovine ci fa intuire l'esistenza di un tempo che non è quello di cui parlano i manuali di storia o che i restauri cercano di resuscitare. È un tempo puro, non databile, assente dal nostro mondo d'immagini, di simulacri e di ricostruzioni; dal nostro mondo violento che produce solo macerie: macerie che non hanno più il tempo di diventare rovine.
(Marc Augé)
I resti degli antichi hanno un fascino che va oltre il tempo e lo spazio. Le rovine, tracce imponenti e solenni che una civiltà ha lasciato lungo il suo cammino, catturano gli occhi e la mente in maniera così intensa da essere alla base dell'estetica del sublime. "Tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine", scriveva Chateaubriand agli inizi dell'800, e questa tensione cresce giorno dopo giorno, anno dopo anno, secolo dopo secolo, man mano, cioè, che aumenta lo scarto tra futuro e passato. Le forme classiche, specchio di una società solida, sono perfette, armoniche, e creano un contrasto fortissimo con il contemporaneo gusto per lo sproporzionato, l'irregolare, l'informe di derivazione gotica che si associa al nostro mondo frammentato e indeciso, liquido, per dirla come Bauman. Nella contemplazione delle rovine si innesca così una sensazione che sta a metà strada tra sgomento e ammirazione, mentre il tempo non mina solo le tracce lasciate dall'uomo, ma lo stesso ricordo della sua identità. Se Nietzsche individua nella trasformazione della storia passata in storia presente la chiave che ha l'uomo per diventare uomo, è perché la storia esercita una funzione critica rispetto ai difetti della memoria. Rovine, totalmente privo della presenza umana, ne è paradossalmente invaso: tutto ciò che ora è rovina è stato creato e distrutto dall'uomo, e lo stesso stato di rovina è una condizione legata a un abbandono da parte della civiltà, a causa di un cambiamento ambientale o degli equilibri di potere. Natura e cultura, dunque, che possono entrambe spostare la storia. In un periodo vago, precario, privo di punti di riferimento stabili per via della crisi delle istituzioni tradizionali che fanno da bussola, la contemplazione delle rovine pone degli interrogativi sulla permanenza delle cose e sul percorso che la nostra società sta affrontando. La fotografia, strumento della memoria, si fa carico di fissare il fascino di un passato incorrotto e di restituirne l’incanto, perché questo incanto possa essere nutrimento del nuovo.
Ruins are majestic and solemn remains that civilizations left behind. Ruins are very charming, and this charm goes beyond time and space and catches eyes and mind so intensely that they are the basis for the aesthetics of the sublime. "All men have a secret attraction to ruins," wrote Chateaubriand in the early ‘800, and this tension is growing day after day, year after year, century after century, more and more the gap between future and past is increasing. Classical forms are quiet perfect, harmonic, and create a strong contrast with the contemporary taste for the excessive and irregular, derived from the Gothic period, that is associated to our world which is fragmented and liquid, as Bauman says. The contemplation of the ruins induces a feeling that is halfway between awe and admiration, while time not only undermines the traces left by man, but also the memory of its identity. Nietzsche identifies in the transformation of past in present history the key for man to become a man, because history plays a critical function in relation to defects of memory. The work Ruins, totally devoid human presence, but on the other hand it is paradoxically invaded: everything that was created is now ruined and destroyed by man and the same state of decay is a condition linked to the abandonment of a civilization, due to an environmental change. Nature and culture, therefore, can move history. In a vague and precarious age, with no stable reference-points, due to the crisis of traditional institutions, the contemplation of ruins makes you wonder about the permanence of things and the things that our society is facing. Photography is an instrument of memory and is in charge of fixing the unspoiled charm of the past.
(Marc Augé)
I resti degli antichi hanno un fascino che va oltre il tempo e lo spazio. Le rovine, tracce imponenti e solenni che una civiltà ha lasciato lungo il suo cammino, catturano gli occhi e la mente in maniera così intensa da essere alla base dell'estetica del sublime. "Tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine", scriveva Chateaubriand agli inizi dell'800, e questa tensione cresce giorno dopo giorno, anno dopo anno, secolo dopo secolo, man mano, cioè, che aumenta lo scarto tra futuro e passato. Le forme classiche, specchio di una società solida, sono perfette, armoniche, e creano un contrasto fortissimo con il contemporaneo gusto per lo sproporzionato, l'irregolare, l'informe di derivazione gotica che si associa al nostro mondo frammentato e indeciso, liquido, per dirla come Bauman. Nella contemplazione delle rovine si innesca così una sensazione che sta a metà strada tra sgomento e ammirazione, mentre il tempo non mina solo le tracce lasciate dall'uomo, ma lo stesso ricordo della sua identità. Se Nietzsche individua nella trasformazione della storia passata in storia presente la chiave che ha l'uomo per diventare uomo, è perché la storia esercita una funzione critica rispetto ai difetti della memoria. Rovine, totalmente privo della presenza umana, ne è paradossalmente invaso: tutto ciò che ora è rovina è stato creato e distrutto dall'uomo, e lo stesso stato di rovina è una condizione legata a un abbandono da parte della civiltà, a causa di un cambiamento ambientale o degli equilibri di potere. Natura e cultura, dunque, che possono entrambe spostare la storia. In un periodo vago, precario, privo di punti di riferimento stabili per via della crisi delle istituzioni tradizionali che fanno da bussola, la contemplazione delle rovine pone degli interrogativi sulla permanenza delle cose e sul percorso che la nostra società sta affrontando. La fotografia, strumento della memoria, si fa carico di fissare il fascino di un passato incorrotto e di restituirne l’incanto, perché questo incanto possa essere nutrimento del nuovo.
Ruins are majestic and solemn remains that civilizations left behind. Ruins are very charming, and this charm goes beyond time and space and catches eyes and mind so intensely that they are the basis for the aesthetics of the sublime. "All men have a secret attraction to ruins," wrote Chateaubriand in the early ‘800, and this tension is growing day after day, year after year, century after century, more and more the gap between future and past is increasing. Classical forms are quiet perfect, harmonic, and create a strong contrast with the contemporary taste for the excessive and irregular, derived from the Gothic period, that is associated to our world which is fragmented and liquid, as Bauman says. The contemplation of the ruins induces a feeling that is halfway between awe and admiration, while time not only undermines the traces left by man, but also the memory of its identity. Nietzsche identifies in the transformation of past in present history the key for man to become a man, because history plays a critical function in relation to defects of memory. The work Ruins, totally devoid human presence, but on the other hand it is paradoxically invaded: everything that was created is now ruined and destroyed by man and the same state of decay is a condition linked to the abandonment of a civilization, due to an environmental change. Nature and culture, therefore, can move history. In a vague and precarious age, with no stable reference-points, due to the crisis of traditional institutions, the contemplation of ruins makes you wonder about the permanence of things and the things that our society is facing. Photography is an instrument of memory and is in charge of fixing the unspoiled charm of the past.