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la memoire est un jeru d'enfant | podbielski contemporary, milan

16/9/2025

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PODBIELSKI CONTEMPORARY presenta la mostra
"LA MÉMOIRE EST UN JEUD’ENFANT”
di Massimiliano Gatti a cura di Gaia Renis
Opening | 17 settembre h. 18 - 21
18 settembre – 22 novembre, 2025

La mémoire est un jeu d’enfant è un viaggio nella memoria, un progetto espositivo che riunisce
alcune tra le più recenti ricerche fotografiche di Massimiliano Gatti, tutte accomunate da una riflessione profonda sul carattere vivo, dinamico, ambivalente del ricordare. La mostra presenta sette progetti che si muovono lungo il confine tra conservazione e immaginazione, documento e finzione. La memoria, in questa prospettiva, non è mai un archivio statico, ma una pratica fluida, a volte fragile: può essere gioco, rovina, traccia, illusione. Un processo sempre in bilico tra ricordo e ricostruzione. Attraverso archivi personali, materiali storici, manipolazioni digitali e gesti condivisi, i lavori esposti danno forma a una costellazione di memorie plurali, dove ogni immagine diventa un luogo di interrogazione e di resistenza, dicontinuità e di trasformazione. Il punto di partenza di questo viaggio allora non può che essere il gesto più intimo e familiare che intreccia lo sguardo di un padre e l’immaginazione di sua figlia, Adele. È qui, nel gioco delicato tra generazioni, che la memoria mostra la sua natura mutevole, affettiva, creativa. Ne La mémoire est un jeu d’enfant, il ricordare diventa un atto a quattro mani, dove il passato non è solo da custodire, ma da trasformare insieme. Le fotografie dei monumenti storici diventano lo sfondo su cui Adele interviene con il colore, seguendo l’istinto libero e non condizionato: un’azione spontanea che nasce dall’incontro tra il suo mondo interiore e quello visibile, e racconta di un’infanzia che reinventa il passato. In questo gioco condiviso,l’iconografia di un’epoca si trasforma in atto creativo, un ponte tra storia e infanzia, tra memoria e futuro; e le due pratiche, del padre e della figlia, si fondono in un’opera comune, dove il gioco diventa gesto artistico e la memoria si fa materia viva, colore. Con Rovine entriamo in un tempo immobile, archetipico. Il ricordo qui si manifesta attraverso ciò che crolla ma resiste, ciò che resta pur svanendo. Le rovine parlano un linguaggio che la nostra epoca fa, forse, fatica a comprendere: sono presenze silenziose e solenni, capaci di evocare un tempo sospeso, indeterminato, che sfugge alle categorie del presente. Attraverso la loro bellezza fragile, esse rivelano tanto l’opera dell’uomo quanto la sua assenza. Tracce di civiltà passate, nate e crollate sotto il peso di eventi naturali o squilibri di potere, ci pongono di fronte all’instabilità della memoria e dell’identità. Esse contengono in sé una doppia tensione: quella tra armonia e disgregazione, tra permanenza e dissoluzione. In un mondo frammentato e precario, dove le coordinate storiche e culturali sembrano incerte, la contemplazione delle rovine ci interroga sul nostro stesso destino. Dove Rovine ci chiede di ascoltare in silenzio ciò che il tempo lascia, Aleppo è una foglia d’alloro introduce la materia pulsante, che assorbe memoria, la incarna e la trasmette. Non vi è più solo contemplazione, ma un gesto quotidiano e antico, carico di senso, che scorre tra le mani e si ridefinisce come un rituale che attraversa il tempo. Aleppo è una ferita aperta, consumata da anni di conflitto. Il suo sapone diventa un oggetto-soglia, in equilibrio tra rito e rovina, solidità e frattura. Come una città che si sgretola, e che forse – proprio attraverso le sue crepe – prepara la possibilità di un nuovo inizio. Un altro elemento intriso di memoria è il francobollo: piccolo, fragile, mobile, eppure capace di trattenere un’intera iconografia nazionale. Con La Collezione, la memoria vive nell’immagine moltiplicata, nella sua circolazione e nel suo consumo lento. I francobolli siriani, raccolti e classificati, compongono un atlante visivo e sentimentale che tenta di dare un volto a ciò che rischia di svanire: un’identità collettiva, una storia, un luogo che si allontana nel tempo e nello spazio. Qui il ricordo si fa segno e tassonomia, una memoria che ha viaggiato attraverso confini, mani e storie, e che ancora prova a dirci qualcosa. Omega ci introduce in un territorio più instabile, dove la realtà vacilla e la finzione prende forma. Il progetto nasce dal mistero irrisolto che circonda la scomparsa di Federico García Lorca, diventando simbolo di una realtà che non si può più toccare e che proprio per questo si presta a essere ridefinita, per aprirsi quindi a una riflessione sulla memoria collettiva e sull’assenza di una verità storica univoca. Le immagini, realizzate nel paesaggio sospeso del Barranco del Viznar, accostano fotografia e manipolazione digitale con interventi di Intelligenza Artificiale, generando un racconto visivo ambiguo e stratificato. Omega apre così una nuova fase del percorso: la memoria come enigma, come spazio ibrido tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere. Il titolo rimanda a “Omega. Poema para los muertos”, in cui Lorca evoca la morte con immagini visionarie. Allo stesso modo, quest’opera è una meditazione sulla fine e sulla sopravvivenza: la natura che cresce nel luogo del trauma diventa simbolo di resistenza. Dopo aver attraversato il luogo incerto della memoria manipolata, in Bianco vi è un ritorno al paesaggio e ai suoi mutamenti di forma. Qui, il Monte Bianco è osservato attraverso due tempi lontani fra loro: quello di lastre fotografiche, risalenti a circa un secolo fa, e quello di immagini contemporanee. A unire questi sguardi è il bianco – o meglio, la sua assenza: la neve, simbolodi purezza e mistero, oggi sempre più rara. Le lastre originali, stampate in negativo su carta baritata con l’acqua della neve raccolta in loco, restituiscono un paesaggio ribaltato, quasi astratto. Il bianco si fa nero profondo e la montagna diventa un enigma visivo, svincolato dal tempo e dallo spazio. Le fotografie attuali, invece, mostrano le tracce della trasformazione: erosioni, assenze, segni visibili della crisi ambientale. In questo gioco di inversioni e specchiature, Bianco rende evidente la fragilità degli ecosistemi montani, la memoria che si scioglie, il tempo che erode. Bianco è anche un invito alla cura: a osservare, a ricordare, a non dimenticare ciò che lentamente scompare sotto i nostri occhi. Arrivati al termine di questo percorso, incontriamo Al-riḥla (Il viaggio): un progetto realizzato con il videomaker Nico Cremonesi (editing e sound design di Massimo Leonardi) e i ragazzi della Comunità San Francesco di Chiaravalle, in cui la geografia diventa il luogo dove la memoria si intreccia al corpo e alla scelta. Su una cartina, apparentemente neutra e oggettiva, giovani migranti tracciano il proprio percorso con fili rossi e chiodi, costruendo una geografia alternativa fatta di ricordi, decisioni, tagli e legami. Ogni filo racconta una traiettoria unica: si tende, si annoda, si spezza. È strada, ma anche ferita. Il rosso è il colore spesso associato alla migrazione, ma è anche il colore del sangue, dell’amore, del coraggio di resistere. I chiodi sono insieme àncore e cicatrici, testimonianza del peso di ogni passaggio. Al-riḥla è un’opera sulla soggettività di chi è spesso ridotto a categoria, un invito a guardare oltre i confini disegnati sulle mappe, a dare ascolto alle voci che si muovono sotto la superficie visibile del mondo. Un esercizio di memoria attiva, dove il gesto del tracciare diventa un modo per riappropriarsi della propria storia, come un campo da gioco aperto, un universo di possibilità.

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